La stanchezza di certi giorni nei quali siamo stanchi addirittura di noi, figuriamoci del resto: della preghiera
Ci sono momenti, attimi brevissimi, nei quali la preghiera è la manovalanza più inumana: attimi nei quali più che succhiare il nettare ti sembra di assaggiare la ruggine della vecchia catena abbandonata sul cancello. Questi attimi sono l’occasione di Lucifero, la fessura capace di scardinare il muro, la messa alla prova della speranza: “Come vedi, amoremio, avevo ragione io: tu preghi, ma Dio se ne frega. Fidati: arrenditi, usa le energie per cose più proficue” insinua il serpente.
In certi istanti, inutile da dirsi, la voce di Lucifero suona come la voce più ragionevole nella cacofonia di voci che assediano il cuore. Dio, per quello che gli compete, non si mostra disposto a mollare un millimetro la presa: «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi». La stanchezza di certi giorni nei quali siamo stanchi addirittura di noi, figuriamoci del resto: della preghiera (che non arreca beneficio immediato).
Esiste, però, anche una stanchezza superiore a tutte le altre stanchezze, ed è quella dell’anima: lì quando ti stanchi, ti stanchi davvero. Forza la memoria: non minacci più (“Giuro che non ti pregherò più!”), non avvisi (“Se stavolta tu non mi ascolti, basta!”), non speri, non corri, non insegui, non t’interessi. Le serrande si abbassano, chiuse con il lucchetto: spento, buio, sipario chiuso e che anche Dio vada via. Fine corsa: «Ci si stanca di tutto, anche di essere amati» (A. Maurois).
Per questi attimi val bene quella mascotte ch’è diventata la vedova citata a meraviglia dal Cristo: «Fammi giustizia contro il mio avversario» grida al giudice iniquo a capo del tribunale della sua città. Non l’ascolta, promette d’ascoltarla a breve, si dimentica d’averle promesso di ascoltarla, sposta il faldone giudiziario, rinvia a data da destinarsi. Nella speranza che la vedova, sfiancata, la smetta d’importunarlo.
Si ricrederà: quella donna, bistrattata e da sola, si ricorda che, quando torna a casa con una bella tonalità scura di stanchezza sotto gli occhi, fatalità è sempre l’ultima chiave del mazzo che aprirà la porta. Si apre, la porta, dopo che avrà provato ad aprirla con tutte le altre chiavi, senza successo: «Per un po’ di tempo egli non volle». Poi, quando la pensava arresa, capisce ch’è meglio se si arrende lui: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi da tanto fastidio, le farò giustizia perchè non venga continuamente a importunarmi».
Cede, “purché la smetta di rompermi!” Cede, questo è importante per lei: «Se insisti e resisti raggiungi e conquisti» scriveva il poeta Trilussa. Insistere senza lasciarsi scoraggiare. Lo scoraggiamento si farà sentire: ciò che conta è superarlo. Compiuto questo passo, il mondo sarà tuo.
Sembra che, nei Vangeli, la grandezza d’una creatura si misuri in base alla insistenza con la quale cerca ciò che il cuore va chiedendo. Pare anche – e non è poca cosa – che Dio apprezzi più l’insistenza dei singhiozzi pronunciati con il vento contro delle preghiere innalzate con il vento a favore. A che pro insistere, dunque?
Per rigore di logica: se quel giudice disonesto, alla fine, cede «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» ribatte Gesù con il suo solito incorreggibile pragmatismo? Anche Dio, a forza di sentirsi ripetere le cose con sfacciataggine, sarà costretto a battere le ciglia: «A forza di preghiere si forma il suo orecchio, a forza di lacrime nostre i suoi occhi vedono, a forza di allegria spunta il suo sorriso» (E. De Luca).
Anche col Cristo la chiave che apre rimane sempre la stessa: l’ultima del mazzo. Insistere senza diventare pesanti è un’arte per pochi. Per quanto riguarda Dio, poi, si riserba tempi e modi per rispondere. Basti la certezza sovrana in amore: chi ti vuole bene sa quando cercarti, quando non farlo, insistere anche se gli hai urlato di lasciati in pace. Un solo dubbio: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (cfr Lc 18,1-8) O, alla penultima chiave del mazzo, tutti avranno voltato le spalle alla porta che non s’è ancora aperta? Eppure c’era ancora una chiave, l’ultima, a disposizione.
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