La Commissione europea continua a cercare di fare in modo che i risparmi dei cittadini vengano investiti nelle imprese Ue
La Commissione europea rilanciala sfida del risparmio utile: quello che non giaccia liquido ma inerte su conti bancari o postali e venga invece dinamizzato sui mercati dei capitali a beneficio dello sviluppo.
La fresca raccomandazione di Bruxelles ai 27 Stati-membri s’impernia su “conti di risparmio e investimento” (Sia): strumenti di impiego di risparmio incentivati sul piano fiscale e delle tutele per promuovere l’avvicinamento dei risparmiatori retail a una finanza d’impresa sempre più ricca di opportunità ma anche di rischi; e d’altronde strutturalmente bisognosa dei flussi in entrata da parte del risparmio diffuso.
Lo scenario è reso allo stesso tempo più complesso e più sfidante oggi, allorché l’Azienda-Europa sta affrontando una fase di nuovi e massicci investimenti strategici, anzitutto nella costruzione di un nuovo sistema di difesa.
La Commissione Ue – che si ritrova a essere hub decisionale di tutte le macro-politiche – ha perfettamente ragione di illuminare un versante critico: rispettando l’opzione per la finanza di mercato – esplicita nei Trattati di Maastricht -m ma segnalando l’esigenza di svegliare e in parte orientare i “giacimenti” di risparmio europei verso l’economia reale, produttiva di innovazione e di nuova occupazione di qualità a finalità politicamente comuni all’intera Unione.
Lo strumento Sia – fra l’altro al centro di un nuovo pacchetto di provvedimenti a favore dell’alfabetizzazione finanziaria degli europei – non è una novità assoluta. Si riannoda invece a una lunga serie di tentativi: in Italia l’ultimo – tuttora attivo sul mercato – è stato quello dei Pir, i “piani individuali di risparmio” per investire in Pmi.
Il successo di questi veicoli “basici” è sempre stato circoscritto: soprattutto in una cornice a lungo libero-mercatista in cui una piccola azienda piuttosto che uno specifico settore produttivo avevano sempre la possibilità di presentare il proprio merito di investimento azionario od obbligazionario al mercato più ampio.
Oggi invece l’Europa – non solo l’istituzione ma anche un fitto network di imprese – chiede ai mercati finanziari almeno 800 miliardi per ammodernare la propria difesa (senza trascurare gli originari obiettivi della transizione energetica e digitale). La cifra l’ha fissata Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività Ue, a sua volta a sviluppo della strategia Recovery-Pnrr. E già nell’estate 2020 l’Ue gettò le basi politico-finanziarie per un’indebitamento comune.
Il risparmio degli europei ha come destinazione finale gli eurobond, ma la Commissione von der Leyen non è ancora nelle condizioni di lanciarli definitivamente. Fa benissimo, però, a tenere aperto e caldo il dossier.
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