Non c’è esperienza più triste che sentirsi traditi. Ma il rimedio non è il cinismo, è affidarsi a un Amico che ha sconfitto il male al nostro posto
Nel Vangelo di questa domenica troviamo una di quelle frasi che descrive una dinamica che, se potessimo, elimineremmo volentieri dalla nostra vita: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Lc 21, 16-17). Non c’è esperienza più dolorosa, infatti, che veder violati i rapporti più cari. All’improvviso si affaccia il sospetto che nulla valga e duri veramente, che sia meglio non fidarsi di nessuno, che convenga costruirsi un argine per non rimanere fregati.
Molte fatiche in cui ci ritroviamo invischiati nascono da questa paura che, se non incontra un punto di fuga, arriva a determinare il modo con cui affrontiamo la realtà.
In alcuni prende la forma del cinismo, che oscura ogni spiraglio di bene imprevisto. In altri quella del cameratismo, facendosi andar bene un qualsiasi modo di stare insieme pur di non rischiare personalmente. In altri ancora quella dell’illusione di bastare a se stessi, come se potessimo vivere senza legami autentici.
Gesù, per la verità, accenna anche al rischio di presentarsi come i risolutori di tutti i problemi, domandando una fiducia senza ragioni: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io’, e: ‘Il tempo è vicino’. Non andate dietro a loro!” (Lc 21, 8).
La ricorrenza degli ottant’anni dal processo di Norimberga ci riporta alle conseguenze storiche di un metodo come questo: il potere di pochi arriva a decidere la vita di molti. Capita a quelli che, pur avendo rinunciato a una casa per sé, osano proporsi come casa per gli altri e, per chi non ci sta, l’alternativa si dà nell’andarsene o nell’essere eliminati, come avverte il Vangelo.
La profezia di Cristo, però non finisce così. Il Vangelo continua: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (Lc 21, 18). C’è un punto di vittoria in noi che non nasce da noi. Lo vediamo in tanti racconti e testimonianze di persone che, pur potendo avere tutte le ragioni per consegnarsi al nulla di chi ritiene la vita stessa un grande tradimento, riparte inaspettatamente da un avvenimento inestirpabile, in grado di riconsegnarci il volto amico della realtà.
“Nemmeno un capello” significa che nulla di noi andrà perduto, niente di ciò che ha attraversato la nostra vita, di ciò che abbiamo scoperto, sofferto, desiderato, amato, sbagliato… e solo Dio può spingersi a tanto, perché è l’unico a non avere paura di ciò che siamo. Questa è la vera casa del nostro cuore, dove siamo abbracciati senza condizioni.
Ieri il Papa ha incontrato i rappresentanti del mondo del cinema e, a un certo punto, ha detto: “Uno dei contributi più preziosi del cinema è precisamente quello di aiutare lo spettatore a tornare in sé stesso, a guardare con occhi nuovi la complessità della propria esperienza, a rivedere il mondo come se fosse la prima volta e a riscoprire, in questo esercizio, una porzione di quella speranza senza la quale la nostra esistenza non è piena. Mi conforta pensare che il cinema non è soltanto moving pictures: è mettere in movimento la speranza!”.
Recentemente un amico mi ha segnalato la serie tv Slow Horses, un’arguta spy story che mette in evidenza le differenze tra chi si aspetta tutto da strutture ben organizzate, e chi si gode l’accadere di un imprevisto, trasformando il “pantano” in una vera casa.
“Tornare in sé” rimane la strada più efficace per non subire i tradimenti, ma per attraversarli come l’occasione che il vero Amico permette per riaffermare la sua fedeltà, che accade come vuole e con chi vuole. L’alternativa l’aveva già espressa genialmente il grande Eliot: sognare “sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono” (Cori da “La Roccia”, 1934). Meglio il rischio della libertà!
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