Dal rapporto Svimez 2025 emerge un Sud con gravi criticità, come la perdita dei giovani, e importanti punti di forza. Serve una maggiore qualità della spesa
Se ne vanno in tanti. Circa il 50% dei giovani maschi laureati tra i 24 e i 35 anni e il 70% delle donne lasciano il Mezzogiorno per trovare altro al Nord. Trend che si unisce alla preferenza data per lavori all’estero di giovani italiani con alta formazione. La Svimez fotografa un fenomeno noto nelle case di tante famiglie. Più ti formi e più sei bravo, più lasci casa e territorio. Anzi, studiare serve prima a quello.
Eppure l’occupazione totale dei giovani aumenta e di molto nelle aree del Sud del Paese, ma è trascinato, questo aumento, per oltre 1/3 dal turismo ed in generale da settori a basso valore aggiunto, un lavoro diffuso ma povero di salario e contenuti.
Meglio che niente, così come va presa come buona la notizia che la crescita del Mezzogiorno dal 2021 ad oggi è del 8,4% contro poco più del 5% nel Nord. Una fase di inseguimento del Pil che ha fatto bene al Paese nella sua totalità che, con questa crescita differenziata, ha segnato un vantaggio positivo della crescita del Pil su altri Paesi europei.
Insomma, come si predica da anni, più il Mezzogiorno cresce, più il Paese ne beneficia. Ma la trattoria è incerta. Per Svimez, dopo il 2026, che avrà ancora un trend simile, dal 2027 il Nord tornerà a correre più del Mezzogiorno.
I motivi sono vari. La fine dell’effetto del PNRR e degli incentivi all’edilizia ed una maggiore forza delle imprese del Nord riporterà al sorpasso della crescita ed a una ripresa del divario tra due pezzi di Paese.
La colpa è da vedersi in generale dalla conclusione delle politiche di spesa mirata e consistente data dalle misure straordinarie del PNRR, ma anche dalla rimodulazione dei fondi di coesione, che scenderanno come consistenza dal 70% del totale al 50% per gli obiettivi di coesione delle aree meridionali, il tutto incrementato da una ripresa dell’austerity data dai vincoli di bilancio.
In pratica la spesa pubblica per investimenti calerà, mentre, nonostante la ZES, il valore degli investimenti privati non riuscirà a colmare il gap ed a far crescere in modo consistente l’economia. Nel 2027 la crescita attesa si ferma nelle previsioni a uno 0,5%, inferiore a quella del Nord.

Un quadro, quello illustrato da Svimez, che dice alcune cose. La prima è che le politiche di investimento su infrastrutture materiali e sociali hanno prodotto effettivamente un incremento di Pil sensibile e positivo, sconfessando la narrazione dei soldi buttati al vento. Per altro verso, le imprese legate al turismo hanno colto l’occasione di nascere creando comunque un sostrato produttivo che assorbe parte della manodopera.
Le quantità ci sono, appare evidente, manca la qualità delle scelte e della spesa. Il sistema produttivo del Mezzogiorno fa fatica ad assorbire, e ben pagare, i giovani. La scarsa presenza di imprese high-tech, l’assenza di distretti e comparti industriali dedicati a settori specifici inibisce la relazione produttiva tra sapere ed industria. Un tessuto produttivo ancora acerbo e refrattario, nonostante lodevoli eccezioni, a meccanismi aggregativi dedicati e che fa fatica a mettersi alla guida industriale e di ricerca di pezzi della nuova economia.
L’imprenditoria si sviluppa nel turismo e nelle filiere a basso valore aggiunto (ad esempio l’edilizia), che spesso sono forme – di certo pregevoli e necessarie in alcuni casi – di valorizzazione di quel che c’è, ma si fa fatica a creare valore aggiunto consistente e know-how di valore globale.
Uscirne significa insistere ancora di più, guidare la crescita culturale del sostrato imprenditoriale e rimettere in moto investimenti pubblici anche dopo il PNRR.
Quella post-pandemica è comunque una fase di ripresa del Mezzogiorno. Non scontata. Ma senza qualità nelle imprese, nel capitale umano e nella spesa pubblica il fenomeno perde abbrivio. Di certo è la prova che se crescita ci deve essere per tenere in ordine i conti la si trova anche nel Mezzogiorno, anzi con maggiore facilità in quelle aree. E la crescita consente di tenere positivo il rapporto deficit/Pil, di presentare conti più ordinati e ricorrere meno a strumenti di sostegno ai ceti sociali più deboli.
Un cammino ancora lungo, che oggi ha una traccia debole e non risolutiva, ma almeno un sentire da seguire. Tenere i giovani nel Mezzogiorno incrementandone i salari, far crescere la cultura delle imprese, mantenere un atteggiamento positivo su investimenti pubblici e agevolazioni è l’unica ricetta da seguire. A dosi giuste può funzionare.
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