La montagna ha ispirato pittori e scrittori: avvicina alla profondità della vita e al suo mistero. Ci pone il problema del rapporto con Dio

Nel suo ultimo libro (Il cielo più vicino. La montagna nell’arte, La nave di Teseo, 2025) Vittorio Sgarbi racconta come la pittura ha rappresentato la montagna. Descrive quadri famosi, da Giotto ai giorni nostri: ad esempio le vette altissime di Friedrich e il ghiaccio nel quale si consumò una sua tragedia familiare; l’Engadina fiorita di Segantini, in cui lui stesso trovò morte; l’ossessione di Cézanne per il monte Sainte Victoire.



Ma anche pittori o opere meno note, come lo straordinario paesaggio montano di Masolino da Panicale, mix di realismo e fiaba, dipinto in ricordo d’un remoto viaggio in Ungheria. Il libro è interessante perché, come scrive l’autore, la montagna “ci pone il problema del rapporto con il cielo, del rapporto con Dio”.



Citazioni di pittura come quelle raccolte da Sgarbi se ne potrebbero fare a centinaia. E lo stesso per la letteratura. Meravigliosa la pagina in cui Thomas Mann, ne La montagna incantata, descrive la bufera di neve che investe il protagonista, con i suoi fiocchi tutti perfetti, simmetrici, ma gelidi come un destino ostile. Oppure il racconto L’avventura di uno sciatore di Calvino: una comitiva rumorosa di ragazzi scomposti e goffi sul campo da sci, sorpresi dall’apparire di una bellissima ragazza bionda, col cappuccio celeste cielo, che scende leggera e dritta nella pista ingombra del caos della comitiva, come se “nell’informe pasticcio della vita fosse nascosta la linea segreta, l’armonia”.



Pier Giorgio Frassati (1901-1925)

Sappiamo come la montagna sia metafora del cammino della vita, soprattutto per l’uomo religioso. Anche la storia di molti santi è legata ai monti. I primi eremiti erano nel deserto, ma attraversato il Mediterraneo cercarono i dirupi degli Appennini. Francesco ha ricevuto le stimmate nei boschi della Verna. San Giovanni della Croce era un poeta della montagna, Pier Giorgio Frassati un camminatore, Pio XI un alpinista vero. Fino a quella roccia di fede di Woytjla, che appena poteva scappava sui monti, di nascosto alla scorta.

La montagna, scrive Sgarbi, avvicina il cielo all’uomo, cioè – diremmo noi – avvicina la profondità della vita e il suo mistero. E ancor più d’inverno, se e quando la neve, come un avvenimento improvviso, copre il fango della terra. Ora, però, non nevica più nelle nostre città: restano aride e sporche. Chi può, dunque, cerchi la neve in montagna, non solo per sciare. Va bene Cortina, ma va bene anche un bosco d’Abruzzo. Va bene anche la scappata d’un giorno, magari approfittando dei ponti. Meglio se c’è manto nuovo. Meglio se di nevicata notturna. Meglio se nel silenzio. Non c’è bisogno di grandi spiegazioni. Al primo respiro a pieni polmoni si capisce tutto.

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