Mercoledì su Rai 1 verrà trasmesso il monologo di Roberto Benigni dedicato a San Pietro dal titolo "Pietro, un uomo nel vento"
“Pietro, un uomo nel vento” è il titolo del monologo di Roberto Benigni, che verrà trasmesso su Rai1 dopodomani alle 21:30. Il titolo fa subito venire in mente il vento nei capelli del capo pescatore di Cafarnao che, nel quadro di Eugène Burnand, Pietro e Giovanni (1898) corre impetuosamente e col cuore in gola al sepolcro di Gesù con il più giovane della combriccola, Giovanni.
È la prima immagine robustamente umana di interesse appassionato per Gesù Cristo in cui mi imbattei, correva l’anno 1968 o forse ’69, che campeggiava dietro il tavolo del relatore in un raduno della ri-nascente Comunione e Liberazione. Non sapevo che il dipinto era di Burnand, del resto ignoravo che esistesse un Burnand, e l’immagine era sempre inevitabilmente in bianco e nero, come del resto in bianco e nero erano giornali e tv. Come i film del neorealismo, ovviamente.
E del resto quei due senza aureola e col collo energicamente proteso e non mellifluamente inclinato tipo certe immaginette, potevano anche starci in un film di Rossellini o di De Sica: uomini reali dentro una realtà rugosa (Arthur Rimbaud).
Fui interrogato e attratto, e continuo a esserlo, da quell’immagine in bianco e nero (in occasione del Giubileo è stato esposto l’originale, ovviamente dipinto a colori, nella chiesa romana San Marcello al Corso a Roma, insieme all’Ultima cena di Rembrandt: ci voleva).
“Potrei essere io”. Il Pietro che corre al sepolcro perché in quel momento per lui esiste Gesù, è lo stesso che lo ha rinnegato tre volte quando il Maestro è stato condannato. “Avrei fatto come lui”, confessa Benigni. E non è l’unica svirgolata che il futuro primo vicario di Cristo ha commesso, insieme a slanci generosi di un affetto irruente e assoluto. Sentite ancora Benigni: “Pietro si addormenta mentre arrestano Gesù, per tre volte finge di non conoscerlo… Pietro è uno di noi. Si prende le sgridate ma non si stanca mai del Messia”.

Ce n’è abbastanza per convincersi che vale la pena seguire il monologo in tv. Per quelli meno di bocca buona, non si sa mai, può essere rassicurante quanto ha scritto Valerio Cappelli sul Corriere della sera del 5 dicembre, pag. 38, che del Benigni di questo monologo scrive: “Plasma le parole prese dal Vangelo e non le cala dall’alto, come in altri monologhi, più istituzionali e altisonanti…”. Deo gratias: ci conto.
Il santo è un uomo. C’è un altro aspetto interessante: di solito la figura di Pietro la cogliamo a flash, a singoli episodi salienti; il monologo ci farà percorrere l’arco della sua vita, dalla chiamata sulle rive del lago di Galilea alla “missione impossibile” nel cuore dell’impero, al martirio.
Il santo, come ci mostra San Pietro, è uomo in carne e ossa, con tutte le fatiche, le incoerenze e le contraddizioni: “La sua umanità – dice Benigni, che di Pietro si è innamorato – è l’umanità di tutti noi”.
“Il santo è un uomo”. Impossibile che non venga in mente questa affermazione di Luigi Giussani. È la prima affermazione, l’incipit, della sua prefazione al volume di Cyril Martindale, Santi (Milano, Jaca Book, 1976):
“Il santo non è né un mestiere di pochi né un pezzo da museo… il santo non è un superuomo, il santo è un uomo vero“ (pag. 9, sono le prime righe); e poco avanti (pag. 14): “In un certo vero senso, il santo, ciò che brama, non è la santità come perfezione; è la santità come incontro, appoggio, adesione, immedesimazione con Gesù Cristo”.
Il santo era l’ideale di uomo nel Medioevo: si realizza affermando un Altro che lo fa. Dopo è stato sostituito dal divo: l’uomo si realizza affermando sé stesso con successo, performance, belle auto, belle donne… Adesso non so. Il nichilismo, gaio per alcuni e triste per i più, ha mandato in liquefazione la modernità (Zygmunt Bauman) e probabilmente i suoi modelli ideali. I cinici, e i bulli, i musk e i fantozzi, i bezos e i tafazzi sono le icone della fine dell’ideale di uomo.
Il mondo va a pezzi, la guerra avanza; la pace è possibile, la pace nasce dal basso: dai santi? dai testimoni? E da chi altri, se no? Dai cinici o dai tafazzi? Ecco la via umile al protagonismo.
Mi ami tu? Il monologo finisce con l’atto supremo del testimone. Pietro viene crocifisso, a testa in giù, per sua richiesta. Qui Benigni immagina, volutamente uscendo dalla cronologia, che questo atto sia la risposta definitiva alla domanda di Gesù, “Mi ami?”, ripetuta tre volte come per tre volte Pietro l’aveva rinnegato. Che qui ha la risposta definitiva e senza riserve: “Sì, Signore”. Rivoluzione d’amore, la chiama Benigni.
E Leone XIV, che ha visto con l’artista l’anteprima, ha commentato: “Che bello questo monologo su san Pietro che parla d’amore”.
Amore non è quello che di solito blateriamo. Amore è il sì di Pietro. Esistenzialmente il “sì di Pietro” è il cuore di tutta l’esperienza cristiana. Ricordo un intervento pubblico nell’auditorium del compianto illustre clinico e carissimo mio fratello maggiore Pieralberto Bertazzi, che motivava e documentava questo con pienezza di cuore e di ragioni. E ricordo il commento acuto e appassionato di don Giussani all’episodio evangelico.
Sono sicuro che dopo il monologo di Benigni verrà voglia di andare a risentirlo. Forse con più attenzione e immedesimazione. Perché Musk o Bezos sono inarrivabili; Fantozzi e Tafazzi indesiderabili… il Santo, tipo sì di Pietro, è arrivabilissimo e desiderabilissimo. Se un pescatore, che non sa di latino, diventa Papa…
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
