A Calabria un piccolo paese della Locride è diventato un esempio di rigenerazione sociale e urbana attraverso l'accoglienza
La narrazione corrente è piena della ricerca continua dello scandalo e della denuncia del malaffare da parte di opinionisti che fanno i soldi facendo questo mestiere. Peccato si “dimentichino” di raccontarci il resto, di chi ricostruisce creando unità, integrazione, sviluppo là dove tutto sembra perduto. Anche per questo val la pena di parlare di Camini un paese nella Locride in Calabria.
Non è mai stato facile, e mai lo sarà, operare con la serenità del cuore in un’area a rischio come la Locride.
I fattori che sovente mortificano gli intenti più meritevoli, quando si tratti di migliorare le condizioni di vita dei borghi, sono tanti e fin troppo conosciuti nelle cosiddette terre di periferia. Ma qualcosa si muove lungo la Costa dei Gelsomini, nel cuore della direttrice ionica reggina, la stessa che si offriva alla vista di quei coloni greci che ne avrebbero fatto non solo un approdo marinaro, ma un capolavoro di armonia tra culture diverse.
Si dice che da quelle parti fece scalo tecnico anche Alcibiade, prima di riparare dal nemico spartano per le accuse che lo raggiunsero in corso di navigazione. E prima che gli ateniesi poi guidati da Nicia trovassero sui lidi siracusani quel massacro di cui si sente ancor oggi l’eco.
E proprio sulle alture di quel lembo di Calabria dove ancora si parla il greco c’è Camini, da Kaminion, cammino, un nome, una garanzia si direbbe, a giudicare da quanto vi accade.
Poche centinaia di anime, tra le quali si annoverano anche quelle di un’umanità violata nelle radici, fuggita dai conflitti che insanguinano il Medio Oriente, il cui kaminion pare essersi concluso nella pace accogliente di un comune che sta scrivendo una bellissima pagina di storia. Come a suo tempo la scrisse la più nota Riace di Mimmo Lucano.
E se è vero, per dirla alla Camus, che la grandezza di un uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione, Pino Alfarano, che di Camini è Sindaco, può essere definito un grande rispetto ai piccoli tanti “uaminicchi” che hanno condizionato una delle aree più belle d’Italia.
In lui, attorno a lui, c’è l’orgoglio compassato di un’amministrazione comunitaria che sa accogliere senza clamore, al di fuori di schemi ideologici, seguendo il solo canone dell’umanità.
Di qui, l’unicum-Camini, piccolo borgo dal cuore grande che si conferma un esempio virtuoso a livello nazionale nel campo dell’accoglienza e della rigenerazione territoriale. In un tempo in cui molti paesi interni della Calabria, e del Sud in genere, affrontano il dramma dello spopolamento.
Dialogando con Alfarano si comprende appieno come Camini abbia saputo reagire con una visione chiara: accogliere per rinascere. Attraverso progetti ben strutturati.
L’integrazione dei migranti è stata resa concreta e partecipata, fondata sul lavoro, sulla dignità, sulla riqualificazione del patrimonio edilizio e dei servizi essenziali. Non carità, ma umanità e inclusione attiva, che ha ridato vita a case, scuole e relazioni.
A riconoscere l’impegno e i risultati ottenuti è stata recentemente la Rete di Trieste, che ha assegnato a Camini un ruolo di rilievo tra le realtà italiane promotrici di politiche innovative per la rigenerazione sociale e urbana attraverso l’accoglienza.
Un grande risultato, frutto di un lavoro continuo e coraggioso. Camini dimostra che anche un piccolo paese, se guidato dalla speranza e dalla partecipazione, può diventare un simbolo positivo per tutta l’Italia.
Ma il kaminion non può proseguire sulle sole gambe della comunità locale. “Come Sindaco del piccolo paese, al governo nazionale e a quello regionale chiederei concretezza e ascolto – dice Alfarano -. Chiederei politiche che guardino davvero ai territori più fragili, ai piccoli comuni, alle aree interne: dove lo spopolamento non è una statistica, ma una realtà quotidiana. Chiederei di investire nell’istruzione, nella sanità di prossimità, nella mobilità, nel lavoro giovanile e nella tutela del paesaggio.
Chiederei di non calare decisioni dall’alto, ma di costruire soluzioni condivise, partendo dalle esperienze virtuose dei territori, che esistono e aspettano solo di essere sostenute. Chiederei meno burocrazia e più fiducia verso le piccole comunità, che spesso sanno gestire meglio di chiunque le proprie risorse, se messe nelle condizioni di farlo.
Infine, chiederei di restituire dignità ai cittadini, perché lo sviluppo non è solo Pil: è futuro, cultura, appartenenza e giustizia sociale”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.