In questo mutevole caleidoscopio di vero e falso, i potenti della terra ci sguazzano tutti, e ciò è un gran pericolo per la democrazia
Giornali di guerra e di gossip. Strano accoppiamento in prima pagina in quasi tutti i canali di informazione: in apertura bombe e controbombe, a ruota, cioè di taglio centrale, nozze da favola a Venezia con tutti i particolari extralusso. In entrambi i casi, beninteso, con pro e contro, come da manuale del posizionamento in tempo di bipolarismo mors tua vita mea, il che in realtà consente agli uni e agli altri di sfruttare il tema.
E prima del matrimonio dei 27 cambi d’abito, il reality show stile cold case del delitto di Garlasco, della serie i gialli dell’estate tirano sempre, si sa benissimo che alla fine non si caverà un ragno dal buco ma intanto stiamo col fiato sospeso a tenere su l’audience.
E invece dopo il matrimonio dei 27 cambi d’abito, il successone multicolor arcobaleno dei gay pride: quello oceanico che non dà più fastidio a nessuno, a Milano, benedetto dal sindaco; e quello tipo autogol di Orbán che lo ha maledetto, a Budapest, regalando a mezzo mondo, compresi la Schlein e financo il Calenda, la sacra bandiera delle libertà e dei diritti individuali. Bandiera peraltro più facile da sventolare di quella della pace, di questi tempi.
Nel leggero giramento di testa che mi produce questa disinvolta convivenza (o complicità? Forse un Pasolini saprebbe dirlo) fra truce violenza contro popoli e gaio nichilismo contro non si sa chi (a parte Orbán), fra distruzione e distrazione di massa, più che sul 130 metri di Bezos ormeggiato in Croazia, ci si sente sulla barca di Hieronymus Bosch, La nave dei folli: in mezzo alla tempesta uno stracanna, l’altro sghignazza, altri giocano a carte…
La cosa forse più grave ancora in questa navigazione è la confusione tra fake news e dati di realtà. Una contaminazione come la cucina fusion, ma infinitamente peggio. Quando il dissidente cecoslovacco e futuro primo presidente democratico Vaclav Havel contrapponeva il vivere nella verità al vivere nella menzogna, il presupposto era che le due cose si potessero distinguere, magari non sempre facilmente, perché la disinformatja sovietica era bestiale, ma comunque si potesse. Nell’epoca odierna cosiddetta della post-verità le cose sono maledettamente e credo obiettivamente più complicate.
In questo mutevole caleidoscopio di vero e falso, tragico e futile, un occhio distratto al mondo e un occhio avido al buco della serratura, i potenti della terra ci sguazzano tutti, e ciò è un gran pericolo per la democrazia.
“Conoscere per decidere” è il titolo della scuola di formazione politica che da anni viene organizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con Società umanitaria e Futuri probabili: conoscere per decidere. Su temi delicatissimi e che chiedono il massimo senso di responsabilità (cioè bene comune come scopo assoluto e considerazione di tutti gli elementi in gioco nella realtà, e quindi discernimento del possibile) occorre aiutarsi a uscire dalla logica dello schieramento pro o contro a prescindere, cioè a naso o a pregiudizio.
Sicurezza dell’Europa e del nostro Paese nei nuovi (dis)equilibri mondiali e nelle mutate relazioni Usa-Russia. Difesa comune europea (mai realizzata nonostante De Gasperi e C.). Nato sì o no? Perché? Chi e come la paga? È un caso che i Paesi che versano di più in rapporto al Pil sono i più vicini alla Russia, cioè Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, e quelli che versano meno sono i più lontani, come Portogallo e Spagna? Sostenere e fino a quando la difesa dell’Ucraina dall’aggressore? Fornendo armi e/o in quale altro modo? La condanna delle nefandezze israeliane a Gaza con quali mezzi può ottenere un qualche effetto?
Si può avere come Europa un potere negoziale per favorire la pace significativo senza potere economico e militare? Ovvero: come un’Europa debole può non rassegnarsi al dominio internazionale della forza e difendere lo stato di diritto contro lo stato di prepotenza?
Queste e altre cento domande sono ineludibili ancorché non facili.
Ha cento volte ragione Ferruccio de Bortoli quando nel fondo sul Corriere della Sera del 27 giugno afferma che su questi temi “un dibattito pubblico più approfondito è necessario”. Sottolineo “approfondito” e ci aggiungo anche la parola “serietà” condividendo l’auspicio di Walter Veltroni, fatto sempre sul Corriere, il giorno dopo. Perché dibattiti se ne fanno a iosa e a nausea: i talk show costano poco e quindi se ne possono fare tanti, e troppo spesso non sono approfonditi e neanche seri, salvo lodevoli piuttosto rare eccezioni.
De Bortoli si rivolge ai politici e principalmente al Governo: “Vanno spiegate le ragioni della sicurezza nazionale che un Governo responsabile non può sottacere né dissimulare”, tenendo conto anche che “chi è contro il riarmo esprime una posizione legittima”. D’accordissimo. Magari non sempre coerente.
Per dire: il secondo Governo dell’attualmente pacifista Giuseppi Conte è quello che ha aumentato di più, finora, le spese per la difesa: dai 21 miliardi del 2019 ai 26,36 del 2020: 5 miliardi e rotti in più, mentre negli anni precedente e seguenti gli aumenti sono stati di circa un miliardo, mai sopra i 2 miliardi. Avrà avuto le sue ragioni, non c’è da dubitarne; c’è da dubitare che le attuali sue posizioni non siano strumentali.
Un’altra categoria che può dare un contributo importante alla comprensione, oltre ai governanti, è quella di esperti e intellettuali. Veri, non sedicenti tali, stregati dall’ebrezza del video o della firma (con cachet): ce ne sono. Dobbiamo anche noi imparare a distinguere i seri dai patacca, comunque la pensino. Perché l‘altro è sempre una ricchezza e un’opportunità.
La terza categoria siamo tutti noi, cui conviene non essere monadi isolate in balia del circo barnum della post-verità, ma “comunità pensanti”, gente che in compagnia impara il gusto e la pazienza di ascoltarsi, lasciarsi illuminare dai testimoni e dai più grandi e aiutarsi a capire, per quanto si può.
Come ha detto papa Leone: “Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio… Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news”.
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