Sembra esserci il trend delle vacanze senza bambini, quasi rappresentassero sempre e solo un elemento di disturbo

Giorni fa mi è capitato sott’occhio un articolo di Le Figaro dal quale ho appreso che in Francia si è innescato un dibattito politico-giuridico sulle strutture ricettive adult onlycioè child free (o no kids), vale a dire in italiano “qui solo adulti, bambini fuori dai piedi”. Può trattarsi di hotel, resort, b&b, villaggi turistici, campeggi, crociere. Child free gareggia ormai con gluten free: che sia glutine o siano mocciosi, sempre di roba che può dare disturbi trattasi. Per mocciosi, va chiarito, s’intende essere umani fino a 14, o 16, o 18 anni, a seconda; in qualche caso fino a 21 anni (!).



Questa moda non è una novità. Partita da Usa e Caraibi nel 1970, ha allettato via via anche Paesi europei, Spagna per prima con le sue Canarie e Baleari, come pure Canada, Giappone e Corea del Sud.

Devo dire che hanno attirato la mia attenzione due fatti. Il primo, che l’articolo di Le Figaro era nientemeno che in prima pagina. Il secondo che a giorni sarei partito per la mia tradizionale vacanza comunitaria ciellina, non so se anch’essa gluten free, ma sicuramente non child free, datosi che su 350 presenze complessive letteralmente di tutte le età, 110 hanno meno di 12 anni.



Dunque. In Francia qualcuno vorrebbe proibire per legge gli hotel no-bimbi: l’Alto commissario per l’Infanzia, Sarah El Hairy, perché li ritiene contrari a una società inclusiva; la deputata socialista Laurence Rossignol perché sostiene che l’età, come la razza o la religione, non devono essere motivo di discriminazione.

Gli esercenti e i loro esperti (c’è sempre un esperto per qualsiasi bisogna) obiettano che non di scelta ideologica si tratta, ma di un fatto commerciale: se la domanda c’è, e c’è, ed è in crescita, la logica di mercato induce a creare l’offerta.



Ma perché uno dovrebbe desiderare una vacanza senza ragazzi? Per rispondere può essere utile leggere le offerte on line. “Desideri una giornata in piscina senza sentire le mamme che urlano per richiamare i loro bambini?”. “Vuoi che la tua cena romantica non sia rovinata da un bambino che corre urtando la tua sedia?”. E via di questo passo, tra massaggi e relax e degustazioni. E se così la giornata finisce per sembrarti un po’ vuotina se non insulsa, nessun allarme: ci sono “attività pensate per adulti, come lezioni di yoga al tramonto, oppure corsi di cucina gourmet”.

Secondo gli esperti succitati, diversi fattori contribuiscono alla crescente popolarità di questa forma di turismo: adulti stressati dal lavoro che cercano una “vera fuga dalla realtà quotidiana, compreso il rumore e l’agitazione spesso associati ai bambini”; coppie, sempre più numerose, che “scelgono di non avere figli e generano una domanda per esperienze di viaggio più mature”; genitori in cerca di una pausa; “anche chi ha figli talvolta desidera una vacanza da adulti per ricaricare le batterie” (per tornare poi a scaricarle, perché la vita altro non sarebbe che esaurimento di pile, secondo questa logica).

In sintesi, la filosofia del child free sembra ben sintetizzata in questo invito: “Viaggiare senza perdere l’opportunità di una vera vacanza“, che sia “senza disturbi e senza distrazioni” (!). E per essere vera vacanza deve essere – come si legge nelle proposte sopra citate – via da bambini e ragazzi e via dalla realtà (“quotidiana” si dice, ma la realtà è quotidiana).

Ciò ha due sottintesi. Primo sottinteso: il bambino è un peso per i genitori, diciamolo, un fastidio per tutti. Ma il bambino è l’altro per eccellenza. Ergo – in questo atteggiamento no bimbi – l’altro non è un bene per me, anzi mi limita, perciò è nemico.

Secondo sottinteso: la realtà non è positiva, vivo bene solo se e quando ne evado per fluttuare in un nichilismo gaio (che gaio poi non riesce mai a essere, magari ebete sì). La realtà non è positiva e nemmeno è segno. Mi appare ottusa. Perché non lascio che mi stupisca, mi catturi, mi parli, mi lanci in un orizzonte di domanda, in una qualche ipotesi di senso e di gusto per la vita. Nelle vecchie Chinatown questa evasione dalla realtà spiacevole era svolta dalle fumerie di oppio.

Ma cercando tracce di posizioni diverse dal child free, ho ritrovato in un vecchio ritaglio (2019) de il Domani, quotidiano certo non sospettabile di familismo, due affermazioni niente male. Sostiene infatti lo psicologo Stefano Benemeglio: “La vacanza in famiglia è un momento formativo fondamentale per il bambino ed è anche un’esperienza unica per i genitori. Nelle vacanze insieme ai bambini si creano memorie indelebili e si esce dal guscio in cui ogni giorno ci rifugiamo. È la famiglia stessa ad esporsi al cambiamento e a mettersi alla prova”.

E Samuela Stano aggiunge: “I bambini vedono le cose in modo così sorprendente e candido, ma anche intelligente, che ascoltarli e viverli quando si è in vacanza è una continua scoperta, in grado di farci vedere le cose da un’ottica completamente diversa, facendoci assaporare il tempo insieme in modo ancora più bello e più profondo”.

Dico, profferisco e sentenzio che in questa vacanza ciellina comunitaria da 240 adulti e 110 piscinella tutto ciò accade. Accade non a caso, certo. C’è una grande compagnia che aiuta l’attenzione e la disponibilità di ciascuno a vivere la vacanza come tempo privilegiato di libertà alla prova, di possibilità di un surplus di esperienza di senso e di gusto della vita che vale nella vita-vita, non nella pausa caffè; che vale nella realtà-realtà, non nella fumeria di oppio.

Più di tante spieghe, forse basta un piccolo episodio capitato proprio ieri. Due bambini, forse di sette otto nove anni, giocano davanti all’albergo. La mamma di uno dei due chiama il suo brighella: “Matteo, vieni che c’è la preghiera insieme”. “Dai andiamo”, fa Matteo al socio. “Non c’ho voglia”, replica il piccolo neghittoso. “Dai dai andiamo”, insiste Matteo, “è Dio che ci ha creati”.

Per assistere a uno spettacolo così, io salterei giù da una elegante, esclusiva, anestetizzata nave da crociera con sette jacuzzi a testa e child free, anche se nuoto da cani.

P.S.: Non si intende qui colpevolizzare nessun amante della quiete, ci mancherebbe. Ma non tutti i rumori vengono dai bimbi. Abito in un condominio nuovo, due palazzine, 16 appartamenti i cui residenti sono per un terzo coppie mature, un terzo coppia giovani e un terzo single. I cani sono 9, i bambini uno e mezzo: cioè uno stabile, l’altro viene nei weekend dal papà che ora sta con un’altra donna. I bambini non danno nessun disturbo. Sono pochini, eh, ed educati. Anche i cani non danno disturbo. Forse anche qui, questione di educazione.

Piuttosto disturba il single sborone che nel corsello dei box tira su di giri di brutto e ripetutamente la sua Harley Davidson, moto fatta apposta per assordare il mondo con i decibel di uno stormo di vecchi Tupolev smarmittati e la sfacciata esibita prepotenza di un Trump.

Il fatto è che, mentre cani e bimbi sono educabili, le Harley e i loro sboroni no. Per questo io sono per un mondo – pardon, per una vacanza – Harley Davidson free.

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