Le parole che Leone XIV ha detto ai giovani a Tor Vergata sono molto importanti per tutti gli uomini e per la Chiesa
Il Giubileo dei Giovani ha riunito centinaia di migliaia di giovani da tutto il mondo a Tor Vergata. Leone XIV ha proposto loro che non fossero una massa, ha proposto come metodo il loro cuore inquieto, la loro ricerca di senso.
Il Papa non si è limitato a una bellissima omelia per i giovani. In uno degli interventi più chiari dall’inizio del suo pontificato ha proposto l’intensità della domanda di Sant’Agostino, la forza dell’io, la ricerca personale, come cammino per la Chiesa, come modo di comprendere la fede che risponde all’uomo di questo inizio di XXI secolo.
Il giovane (l’adulto) di questo tempo è il giovane (l’adulto) tentato dalla massa. Terrorizzato, anche inconsciamente, dalla paura provocata dalla sensazione di profonda solitudine, cerca protezione e rifugio nella folla, nella massa. Vuole sfuggire al suo isolamento fondendosi con altre solitudini, sentendo il torpore della compagnia, l’incoraggiamento del gruppo.
Il giovane (adulto) membro della massa è terrorizzato dal suono della propria voce, dal grido drammatico del suo cuore. Vuole che quella voce e quel grido vengano messi a tacere. Per questo cerca la voce impersonale della massa, la voce dei leader che hanno predeterminato il contenuto del discorso. Il giovane (l’uomo)-massa trasla la propria insoddisfazione e la propria responsabilità alla moltitudine, nella quale si sente giustificato. La massa assolve da ogni colpa e fornisce un falso senso di sicurezza. Se ti esprimi tramite la folla, non avrai mai dubbi; se condanni tramite la folla, non sbaglierai mai.
La massa risparmia le domande, fornendo solo risposte prefabbricate. La massa genera soddisfazione quando insiste nell’aver salvato molti dalla solitudine. Nella massa, i confini sono chiari: fino a un certo limite, la nostra terra; oltre quel limite, la terra degli altri. Diciamolo con parole antiche: la massa è la forma della salvezza. L’uomo e il giovane non erano nulla prima della creazione della massa; ora, finalmente, sono tutto.
I social network danno potere alla massa, che ha finito per diventare la forma di tutte le relazioni, dalle comunità di quartiere ai dipendenti delle aziende, dai cittadini ai membri delle chiese. Sì, anche nelle chiese. La fuga dalla solitudine, la risposta senza domande, la compagnia senza drammi, l’anonimato nell’affermare il contenuto del dogma, la devozione senza ragione, sono in molti casi la forma dominante dell’interpretazione culturale della fede.
Per questo l’omelia di Leone XIV ai giovani a Tor Vergata del 3 agosto è stata così decisiva. Il cammino che il Papa ha proposto alla Chiesa cattolica mentre entriamo nel secondo terzo del XXI secolo è quello della sete, della ricerca, quello delle domande che non hanno una risposta semplicistica o immediata.
La solitudine che provoca il bisogno di senso non è un problema da risolvere in fretta, una patologia che richiede la medicina della massa. «Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro […]. Non siamo malati, siamo vivi!», ha detto Papa Leone, citando Papa Francesco. Siamo fatti «non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore».
È molto significativo che in questo momento di crocevia storico, Leone XIV proponga ripetutamente la figura di Sant’Agostino come riferimento. Anche in quest’epoca, come a metà del IV secolo, quando l’Impero Romano si stava sgretolando, sembra impossibile trovare una qualche sicurezza. Il Papa indica ripetutamente Agostino delle Confessioni come guida, segnala la via dell’io, del cuore inquieto, come cammino per l’umanità e per la Chiesa.
Non la massa della consolazione, ma l’inquietudine del cuore: «C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?». Non la comunità come rifugio e soluzione a tutti i problemi, ma la comunità che si basa sul perseguire la legge dell’inquietudine: «Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te».
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