Ognuno ama con il cuore che ha

A Gesù viene chiesto quanti saranno quelli che si salveranno. La sua risposta, nel suo stile, è un rilanciare la sfida

La faccenda, in sé, è di una semplicità imbarazzante: per salvarsi – è della salvezza che stiamo parlando – basterebbe lasciarsi amare da Dio. Non basta amare qualcuno per salvarsi: occorrerà lasciarsi amare da qualcuno perché la salvezza diventi nostra dimora.

Il che, a conti fatti, siccome è semplicissimo noi lo andiamo a complicare all’inverosimile, nel tentativo di indottrinare l’amore, di farci stare l’acqua del mare dentro il barattolo della marmellata. La domanda di quel tale – «Un tale gli chiese» -, dunque, è di una bellezza avvincente. Vale, da sola, il Vangelo: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».



Domanda rivolta all’uomo, l’Uomo di Nazareth, che più di tutti si è rotto la schiena per proporre al mondo intero l’avventura della salvezza. Tutti siamo quel «tale»: tutti noi, curiosi come siamo, vorremmo avere il preventivo, più dettagliato possibile, di quanti si salvano, di quanti si dannano, se la nostra faccia è d’annoverare tra i salvati o i dannati.



Gesù, da par suo, com’è ovvio – com’è suo stile – non ama rispondere, ma rilancia la sfida alla sua maniera: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare ma non ci riusciranno». Non è affatto male come risposta: c’è una porta (aperta) a disposizione di tutti, la possibilità è per tutti. La risposta, che non è male, è però ambiziosa: la porta è «stretta».

Non è un’autostrada, dunque – “Viviamo in allegria che tanto Iddio perdona tutti!” -, ma è più una mulattiera stretta, schiena d’asino: “Convertitevi, credete al Vangelo”. L’amore, per Dio, è una impresa delle più ardite: non basta amare qualcuno per salvarsi, occorrerà diventare sempre più simili a chi si ama per essere salvi.



Ognuno, poi, amerà col cuore che ha, se un cuore ce l’ha. Non è possibile, in amore, andare a chiedere cuori in prestito: l’olio delle lampade nessuno l’ha mai prestato a qualcun altro. Manco le vergini sagge che, per il fatto di esserlo, dovevamo avere delle quantità di carità supplementare rispetto alle stolte, l’han mai dato nemmeno in prestito. Nemmeno in prestito a usura.

Non basta, dunque, frequentare la chiesa di domenica, avere ottenuto la certificazione per i sacramenti, avere contribuito alle finanze della parrocchia, o alla salvaguardia dell’igiene dei luoghi parrocchiali: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza: hai insegnato nelle nostre piazze». Tutti vorranno venire a salvarti ma soltanto fino a dove si tocca. Dio è chiaro in materia, quasi all’ingratitudine: «Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete».

Perfetti sconosciuti anche se il crocifisso lo abbiamo spolverato, ci siamo inginocchiati davanti, l’abbiamo portato in spalla per la città il Venerdì Santo: nessuno potrà dirci, senza mentire, che non l’abbiamo frequentato il Cristo. Frequentare una persona è starci assieme, però, non è ancora amarla. Capita anche – capita di tutto! – che una persona ne frequenti un’altra che invece crede di essere fidanzata: «Frequentiamoci senza impegno, stiamo insieme ma non vediamoci che io ho paura. Anzi vediamoci quanto ci pare, ma vediamoci in compagnia» (Lo Stato Sociale). Amare, preso alla lettera, è fare di tutto per diventare sempre più simili all’amato. All’amante.

Non sarà mai possibile simulare la salvezza, tanto meno avere il prospetto dei salvati e dei dannati: fino all’ultimo giorno, fino all’ultimo istante, fino in punto di morte la porta resta aperta. Mantenendo, però, le misure strette: d’altra parte, come si potrà salvare qualcuno che non vorrà essere salvato?

L’impermeabilità giova al cappotto perché la pioggia non produca reumatismi al corpo. In materia di salvezza, però, l’impermeabilità è ciò che rende necessaria la strettezza della porta: se ciò che frequento – la Chiesa e la vita sacramentale – non scalfisce ma lascia impermeabile la mia esistenza, allora il cristianesimo altro non sarà che un passatempo domenicale per frequentare gli amici. Illudendoci di essere i primi della classe: «Ecco: vi sono ultimi che saranno primi e vi sono primi che saranno ultimi» (cfr Lc 13,22-30). Tanto per non provare a fare i conti in tasca anche al buon Dio.

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