Il primo settembre ci appare come il tempo di un bilancio tra il prima e il dopo. È il farsi strada, nelle pieghe della vita, di un Senso più grande
Esiste ciò che c’è, ciò che ciascuno sceglie e ciò che ognuno può fare. Ma esiste anche ciò che non c’è più, ciò che non è stato scelto e ciò su cui è impossibile esercitare qualunque forma di controllo. Il tempo è esattamente la linea che si muove tra queste due consapevolezze: la gioia per la novità che si fa strada e la malinconia per quei volti, quelle storie e quei sentimenti che si sono allontanati dall’orizzonte del quotidiano, che non ci sono più.
Il primo settembre è come uno spartiacque del cammino, un appuntamento che sancisce uno spietato bilancio tra ciò che la vita ha guadagnato e ciò che ormai ha perso.
Di settembre in settembre, è come se il volto dell’uomo prendesse la sua reale fisionomia, come se i suoi tratti non coincidessero soltanto con le sue vittorie e le sue conquiste, ma – ben di più – con le sue sconfitte e i suoi tanti “addio”.
Con ancora nel cuore la calda brezza d’agosto, si intravede il freddo dell’inverno, le ore buie che conducono alle luci del Natale. In mezzo sta la solita vita: il lavoro, gli amici, la famiglia, per alcuni anche la fede.
È tutto come sempre, ma ogni anno, in fondo, niente è come prima. C’è un richiamo segreto nelle cose perdute, un richiamo che rende i luoghi della quotidianità di un tempo, quelli vissuti con un marito, una moglie, un figlio o un amico ormai lontani, sacri. Le fotografie diventano sacre, gli oggetti diventano sacri, i ricordi si rendono rifugio sicuro per i nuovi giorni di silenzio e di solitudine.
Ma allora, se questa è la portata del dolore per quel che la vita è chiamata a lasciar andare nel nome del tempo che passa, perché essere nati? Perché patire così grandi perdite?
Il cristianesimo pone al cuore di settembre, al cuore di questo inizio dell’anno sociale, due feste importanti: la Santa Croce e la memoria di Maria Addolorata. È come se la fede cristiana non si nascondesse davanti al tema della perdita e del dolore, ma introducesse una dimensione nuova, diversa dal “prima” e dal “dopo”.
Von Balthasar la chiamerebbe del “già e non ancora”. In quest’ottica rivoluzionaria, ogni frammento di bene non è altro che una caparra del Bene che il cuore aspetta, che è stato promesso. Non c’è volto, moglie, figlio, amica o marito, che non sia un inizio, che non sia l’alba di qualcosa di grande che c’è già, ma che ha bisogno di tempo per maturare ed esserci davvero.
Settembre non è, allora, il mese dei rimpianti, di chi riparte con ingenua allegria o di chi si guarda alle spalle trafitto dalle circostanze. Settembre è il tempo della promessa, del “non ancora”, di quello che sta venendo. Perché l’esistenza non è qualcosa che passa, ma Qualcuno che viene. La speranza non è l’afflato debole di chi non può più opporre nulla alla violenza della storia, la speranza è il primo fiore che spunta ogni volta in cui l’uomo fa esperienza di un Bene che sboccia e che si impone, sia esso un affetto, un amore, un’amicizia, un seme di bene.
I cristiani sperano perché sotto la croce c’è Maria, cui non è risparmiato lo strazio della morte del figlio, e che – in quello strazio – conosce un nuovo modo di essere madre. Per sempre.
Tutto il bene che l’uomo sperimenta non è altro che eco di un bene che supera ogni umano desiderio. Perché tutti sognano di avere qualcuno accanto, ma nessuno osa desiderare che quel qualcuno sia vero, sia giusto, sia santo.
Qualunque cosa incontreremo a settembre, non sarà altro che un segno di ciò che il cuore da sempre attende. Gli uomini cercano affetto, Dio dona loro eternità. Nella coda per arrivare in ufficio, nella sveglia che suona, nella strana rabbia che circonda un certo malumore, ma anche nella strana letizia che attraversa certi strani giorni d’autunno, fa capolino Qualcosa che non è riducibile al nostro controllo, alle nostre idee, alla nostra saccente verità.
Fa capolino il Mistero. Un “già” e un “non ancora” che abbraccia ogni sentimento – anche quello più inquieto – e lo purifica, lo trasforma, lo rende “santo”.
Come è bello che sia settembre! Come è bello che molte cose siano ormai passate e, alcune, sembrino perfino perdute. Esse ormai sono un grido a Dio. Che ascolta il Suo popolo e che, in questo mese che scandisce il tempo in un modo apparentemente frutto delle convenzioni umane, si prepara al colpo di scena più grande: farle risorgere. O, più semplicemente, ridonarle ancora.
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