Di fronte a quello che accade abbiamo bisogno di Qualcuno capace di restituirci la nostra umanità e di far fronte alla nostra paura
Per tutta l’estate la scena è stata occupata da alcune grandi questioni internazionali, dai dazi di Trump alle politiche dell’Unione europea, dai nuovi scenari della geopolitica mondiale ai conflitti tutt’altro che in via di spegnimento in Ucraina e Palestina.
Come troppo spesso succede, stavamo rischiando di abituarci anche alla guerra, ai morti, alla violenza. Lo sapevamo che i potenti della terra avevano deciso di radere al suolo alcuni territori e di farne scomparire in qualche modo la popolazione che li abitava. Così come avevamo il fondato sospetto che difficilmente si sarebbe arrivati a reali trattative di pace tanto in Europa che in Medio Oriente.
Abbiamo giustamente continuato a invocare la pace, abbiamo anche sinceramente pregato per la pace, ci siamo commossi di fronte alle testimonianze di chi ha perdonato gli uccisori dei propri figli. Ma è come se in fondo la parola pace non riuscisse a diventare una prospettiva concreta, una strada veramente immaginabile e percorribile.
Ma l’accelerazione della violenza di queste ultime settimane ha forse cambiato qualcosa. Siamo veramente sempre più consapevoli che quello in cui stiamo vivendo è uno scenario di guerra. Uno scenario di violenza, dove pare che l’unica possibilità di fronte alla diversità dell’altro sia la sua eliminazione. Come anche il recente assassinio del conservatore americano Kirk ha documentato. Qualcuno lo ha eliminato e chi politicamente lo aveva da sempre avversato non ha trovato nulla di meglio che esultare per la morte dell’avversario.
E così prosegue la tragedia di questo nostro mondo che, come ha recentemente affermato il Presidente Mattarella, sta “rischiando il baratro”. I fatti più recenti, dai raid israeliani in Qatar proprio mentre erano in corso i negoziati per il cessate il fuoco, allo sconfinamento di droni in Polonia e Romania, alle reiterate e infinite brutali violenze di Gaza, ogni azione parla il linguaggio della morte e del male. E ogni giudizio diverso da quello dei potenti sembra inevitabilmente destinato a scomparire o perlomeno a non contare, a non avere peso.
È come se non sapessimo più a cosa ancorare il desiderio di bene e di vita che ci portiamo dentro. Abbiamo bisogno di vedere qualcosa di nuovo all’orizzonte. Qualcosa che parli un linguaggio diverso. E la diversità il più delle volte non arriva con il clamore roboante dei potenti, ma con il coraggio deciso e discreto di chi non rinuncia a desiderare.
Proprio in questi giornate così martoriate, c’è stato un fatto, forse anche passato inosservato o già dimenticato, ma che ha rappresentato una assoluta diversità, qualcosa che non era mai successo. Un sacerdote cattolico, un francescano, anche cardinale e Patriarca di Gerusalemme, ha concluso il Festival del Cinema di Venezia! Nella serata finale, dopo le premiazioni, a sorpresa, sullo schermo della grande Sala del Palazzo del Cinema è apparso il Cardinale Pizzaballa.
Sobrio nella semplice talare nera, esordisce parlando di morte, dolore, distruzione. “Siamo talmente pieni del nostro dolore che sembra non esserci spazio per quello di un altro”. E affonda ulteriormente sulle ragioni di quanto sta accadendo: “Stiamo vivendo un clima di odio sempre più profondo e radicato nelle popolazioni israeliana e palestinese.
Lo vediamo nella violenza e nei linguaggi. La violenza a cui stiamo assistendo è il risultato di anni di un linguaggio violento e disumanizzante. Se disumanizzi l’altro nel linguaggio poi il passaggio alla violenza è quello che stiamo vedendo”.
Pizzaballa non è disperato, è realista. Sa che bisogna indicare prospettive di novità. “Dobbiamo lavorare molto noi credenti, e tutti coloro che fanno cultura, per una narrativa diversa. Dobbiamo creare una narrativa diversa.
Dobbiamo avere il coraggio di un linguaggio diverso , di nuove prospettive e nuove idee che possano arrivare alla società e alla politica”. E termina invocando le persone che si occupano di cultura e di linguaggio perché “aiutino a pensare in modo diverso”.
Ma chi può avere il coraggio di attendere la novità, di invocare la diversità? E di invocarla e attenderla anche dagli altri senza la pretesa di esserne il portatore privilegiato? Forse solo chi mette in conto che nelle vicende degli uomini non tutto è in mano agli uomini medesimi.
Chi mette in conto che possa accadere qualcosa di non previsto. Chi sa per esperienza che l’uomo condivide la sua vita con quella del Mistero che lo ha fatto. Chi sa che, come ebbe a dire don Giussani, “in noi c’è qualcosa che viene prima del nostro tempo, del tempo che usiamo, che viene prima del nostro agire, che viene prima perfino del nostro stesso uso della libertà”.
I cristiani non hanno sicuramente il monopolio della presenza del Mistero nella vita, ma senza averne merito hanno ricevuto un dono. Hanno incontrato altre persone per le quali l’evidenza del Mistero aveva assunto una forma materiale, fatta di volti e di gesti. Hanno incontrato la Chiesa!
In un’intervista rilasciata nei giorni successivi al grande Giubileo di Tor Vergata, Luciano Violante, “un credente senza religione” come ama definirsi, così commentava la partecipazione dei giovani: “C’è una spinta di tipo metafisico che la Chiesa Cattolica sta interpretando in modo adeguato alle aspettative delle giovani generazioni. I ragazzi hanno profonde domande di senso. La risposta della Chiesa Cattolica è all’altezza di questa domanda”.
Nel vuoto dilagante l’affermazione di Violante suona come una provocazione. Mentre intellettuali e politici sono tornati a discutere sul ruolo dei cattolici nella vita pubblica, riproponendo dibattiti datati e spesso solo funzionali all’ottenimento di un consenso, è sicuramente più interessante guardare all’esperienza della Chiesa come a un luogo che ha a che fare con quella domanda di senso e con quel bisogno di novità. Il mondo è tragicamente disumanizzato e ognuno di noi è terrorizzato dal male incombente.
Veramente abbiamo bisogno di Qualcuno capace di restituirci la nostra umanità e di far fronte alla nostra paura. Duemila anni fa il Mistero ha deciso di farsi uomo per questo e oggi, tanto misteriosamente quanto realmente, continua ad essere compagnia agli uomini che liberamente accettano la sfida della convivenza con Lui. Una convivenza all’altezza della domanda di senso e capace di novità.
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