L'Istat ha diffuso dati utili per comprendere i fattori all'origine del rischio povertà e le politiche che si potrebbero adottare
L’Istat ha appena pubblicato le statistiche sulla povertà ed esclusione sociale per il biennio 2023-24 dalle quali emerge che quasi un quarto della popolazione italiana, poco più di 13,5 milioni di persone, ricade in tale condizione. Si tratta del 23,1% degli italiani nel 2024, un dato in lieve rialzo rispetto al 22,8% dell’anno precedente. L’Istat considera al riguardo tre distinte tipologie di casi: a rischio povertà, in grave deprivazione materiale e sociale e a bassa intensità di lavoro.
Sono classificate a rischio povertà le persone che vivono in famiglie il cui reddito netto equivalente dell’anno precedente, non comprensivo di componenti figurative, come il fitto equivalente dell’abitazione in proprietà o componenti in natura, è inferiore al 60% di quello mediano. Nel 2024 le persone a rischio povertà erano il 18,9% dei residenti in Italia, lo stesso valore registrato nel 2023, per un totale di circa 11 milioni di persone.
Risulta invece sostanzialmente stabile la quota relativa alle persone in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale: oltre 2,7 milioni di italiani, i quali presentavano nel 2024 almeno sette segnali di deprivazione dei tredici individuati dal nuovo indicatore Europa 2030, riferiti alla presenza di difficoltà economiche tali da non poter affrontare spese impreviste, non potersi permettere un pasto adeguato o essere in arretrato con l’affitto o il mutuo, e altre. La loro quota è stata del 4,6% nel 2024 a fronte del 4,7% nel 2023.
Infine, coloro che nel 2024 vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, intendendo con tale categoria le tutte le famiglie i cui componenti, compresi tra i 18 e i 64 anni, abbiano lavorato nel corso del 2023 meno di un quinto del tempo. Si tratta di poco meno di 3,9 milioni di italiani, corrispondenti al 9,2% della popolazione, in crescita rispetto all’8,9% del 2023.
Le famiglie che ricadono in questa tipologia sono costituite principalmente da singoli in giovane età, sino a 35 anni, con una quota del 15,9% rispetto al 14,1% dell’anno precedente, e da genitori singoli con figli a carico, con una quota del 19,5% che è più che doppia rispetto alla media nazionale e in crescita rapida rispetto al 15,2% del 2023.
A livello territoriale vi è una grande differenza nell’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale che va dal minimo dell’11,2% per il Nord-Est (11,0% nel 2023) al massimo del 39,2% nel Mezzogiorno (anche in questo caso in lieve rialzo dal 39,0% del 2023).
Riguardo alla composizione delle famiglie l’incidenza è bassa per chi vive in coppia senza figli e alta per le famiglie numerose: per le famiglie con cinque componenti o più è stata del 33,5% nel 2024 (in crescita notevole rispetto al 30,7% del 2023), un valore che aumenta ulteriormente per le coppie con almeno tre figli (34,8% nel 2024 rispetto a 32% del 2023) e resta molto elevato anche per i monogenitori (32,1% rispetto a 29,2%), in questo caso per effetto della più diffusa condizione di bassa intensità di lavoro legata a problemi di conciliazione tra tempi di lavoro e di cura dei figli.
Invece per le coppie con solo uno o due figli il rischio di povertà o esclusione sociale rimane molto al di sotto della media nazionale, col 19% rispetto a un dato medio del 23%.
Oltre alle famiglie numerose il rischio di povertà o esclusione resta sensibilmente al di sopra della media nazionale per gli anziani di 65 anni e più che vivono da soli (29,5%, in crescita rispetto al 27,2% del 2023) e in generale tra coloro che hanno come fonte principale di reddito la pensione o altri trasferimenti pubblici (33,1% contro il 31,6% nel 2023). Egualmente al di sopra della media per gli appartenenti a famiglie con almeno un cittadino straniero (37,5% nel 2024 rispetto al 40,1% dell’anno precedente).
È invece molto al di sotto della media per coloro che vivono in famiglie in cui la fonte principale di reddito è il lavoro dipendente (in questo caso in diminuzione al 14,8% nel 2024 dal 15,8% del 2023), mentre si avvicina alla media nazionale per chi ha come fonte principale un reddito da lavoro autonomo (22,7% rispetto al 22,3% nel 2023) e per le famiglie composte da soli italiani (21,2% rispetto al 20,7% del 2023).
In generale possiamo osservare nel 2024 un lieve peggioramento di tale indicatore per gran parte dei gruppi considerati e questo è avvenuto nonostante la bassa inflazione abbia ridotto nell’anno il potere d’acquisto delle famiglie in misura trascurabile rispetto ai due anni precedenti, influenzati dalla crisi dei prezzi dell’energia. Nel 2023, ad esempio, il reddito medio annuale delle famiglie a causa dell’aumento dei prezzi si era ridotto in termini reali dell’1,6% nonostante un aumento nominale del 4,2%. Non si conoscono ancora tali dati per il 2024.
Sempre per il 2023 l’Istat ha stimato che il reddito percepito dalle famiglie più abbienti sia stato pari a 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere, un valore che è inoltre cresciuto rispetto al 2022.
Questi dati sono molto importanti per misurare e comprendere i fattori all’origine del rischio povertà e le disparità sociali: numerosità delle famiglie, carichi familiari elevati, monogenitorialità, precarietà del lavoro o sua assenza, pensioni insufficienti rispetto ai bisogni per almeno una parte degli anziani sono i fattori preponderanti. Conoscerli e misurarne l’impatto è una premessa essenziale per adottare le necessarie politiche di contrasto, distribuendo in maniera migliore e più equa le risorse disponibili.
L’urgenza maggiore che emerge da essi è indubbiamente un riequilibrio del carico fiscale e dei benefici del welfare in favore delle famiglie più numerose e dei figli a carico, considerando la grave crisi demografica del nostro Paese e una popolazione complessiva in diminuzione da alcuni anni nonostante l’immigrazione.
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