Artigiani in forte calo: in dieci anni meno 400mila. Colpa della denatalità. I rimedi: orientare i giovani e i NEET, ma anche stranieri già formati
In dieci anni 400mila artigiani in meno: erano un milione e 770mila, mentre ora sono un milione e 370mila. Un 22% in meno che dice in modo chiaro e sintetico della crisi di vocazioni del settore, più grave in alcune regioni come Marche, Umbria, Abruzzo e Piemonte, ma che riguarda comunque altre aree che per il momento riescono ancora a tenere.
La decrescita descritta dai dati della CGIA Mestre, d’altra parte, è costante e confermata dalla diminuzione del 5% (meno 72mila unità) nel 2024 rispetto al 2023. La causa principale, osserva Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani della Provincia di Milano, è il calo demografico e una società che non orienta bene i giovani e, culturalmente, mette quasi in cattiva luce le professioni che comportano orari impegnativi.
La soluzione, al di là della necessità di sostenere le nascite, può venire dalla formazione, dal recupero della forza lavoro dei Neet e dagli stranieri opportunamente formati e accolti in Italia nell’ambito di progetti per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Quanto preoccupano i dati sulla diminuzione degli artigiani in Italia? A che livello di allarme siamo?
Il calo c’è e l’allarme anche. Parliamo, comunque, di dati nazionali: io conosco i dati lombardi e la decrescita non è così pronunciata.
Le cause, secondo me, sono essenzialmente due: la prima è il calo demografico. Sempre meno giovani si affacciano al mondo del lavoro, le imprese faticano a trovare lavoratori e ci sono sempre meno persone che iniziano le professioni artigiane. In secondo luogo, c’è una crisi vocazionale: prevale un modello culturale sbagliato, per cui i giovani preferiscono prevalentemente rivolgersi ad altri tipi di attività, più da colletto bianco.
Il fenomeno, specialmente nel Nord Italia, è mitigato dalla presenza degli stranieri, che vanno un po’ a compensare il calo degli italiani. Il problema, comunque, esiste e, paradossalmente, non è un problema di domanda, perché i prodotti e i servizi artigiani sono sempre molto ricercati.
Dal punto di vista professionale l’artigianato quali opportunità offre?
Quando parliamo di artigiani pensiamo al panificatore che sta scomparendo, all’idraulico e all’elettricista che sono sempre più difficili da trovare, ma ci sono anche piccole aziende che sono nella filiera produttiva della metalmeccanica, che non riescono a trovare giovani per continuare l’attività. Un problema di cui risentono le filiere produttive dell’industria, che faticano a reperire fornitori all’altezza di prodotti di qualità. È un tema complessivo che riguarda tutto il Paese.
Al di là del calo demografico c’è un problema di orientamento dei giovani? Per quali motivi si allontanano dalle professioni artigiane?
C’è ancora un’immagine dell’artigiano modello Geppetto, che lavora in uno scantinato polveroso; invece l’artigianato è tecnologia, creatività, un lavoro sicuro. L’allontanamento dalle professioni artigiane è un fatto culturale: si prediligono gli impieghi in ufficio, in giacca e cravatta, anche se si guadagnano 1.300 euro al mese o anche meno.
L’altro problema è che si tratta di mestieri impegnativi, in cui spesso si lavora il sabato e molti interventi vanno fatti la sera. Non voglio fare polemiche, ma viviamo in una società in cui il lavoro, l’abbiamo visto in tante altre situazioni, non è la priorità: è uno degli aspetti della vita e deve conciliarsi con altre attività, anche di svago.
Non si vuole correre il rischio di lavorare troppo, di finire tardi la sera?
Non si tratta di scansafatiche, ma dobbiamo prendere atto che la mentalità è questa: anche se il lavoro è ben retribuito, se bisogna lavorare fino a tardi o il sabato e la domenica si preferiscono altre attività che lasciano più tempo libero.
Un elemento che si sposa con il calo della popolazione attiva. Al Nord il fenomeno è un po’ meno vistoso grazie agli stranieri, ma se dovessimo basarci solo sugli italiani ci sarebbe un calo forte. Il problema, però, si manifesterà anche qui.
La soluzione qual è? A breve e a lungo termine che cosa bisognerebbe fare?
Intanto bisogna puntare sull’orientamento e lo sviluppo degli ITS per dare ai giovani un’immagine nuova dei mestieri più tecnici. Di fronte a certi numeri, per quanto si rendano più attrattivi certi mestieri, dovremmo aumentare i flussi di migrazione. Io sono del 1963: ai miei tempi nasceva un milione di bambini all’anno, adesso 300mila; in due anni manca una città come Milano.
Per quanto riguarda gli stranieri, l’ideale sarebbe formare le persone in loco, prima che arrivino in Italia. Abbiamo un’immigrazione prevalentemente dal Nord Africa, ma ci sono Paesi culturalmente più affini a noi, come Sudamerica o Filippine. Mi rendo conto che stiamo parlando di questioni di enorme importanza, complesse da gestire, ma credo che una delle soluzioni sia un’immigrazione più organizzata.
Il sistema artigiano come reagisce a queste carenze?
So che molti artigiani cercano di trattenere o richiamare ex dipendenti andati in pensione, chiedendo loro ancora qualche ora di lavoro. Si tratta, tuttavia, di una strategia minimale. Vedo che diversi artigiani che cessano l’attività o ne hanno una che dispone ancora di clienti e macchinari generalmente fanno fatica a cederla ai propri dipendenti.
Quando riescono, la lasciano a un ex concorrente, che si prende così macchinari, dipendenti e clientela. È comunque un palliativo, perché la forza lavoro complessiva diminuisce. Certamente è un modo di salvaguardare un po’ il patrimonio aziendale. La realtà è che di due imprese ne rimane una.
La situazione sta precipitando? Il sistema tiene ancora oppure siamo sull’orlo di una crisi che è irreversibile?
Il Nord Italia tiene ancora, certe aree del Paese molto meno. Di irreversibile non c’è nulla. Una delle soluzioni potrebbe essere di riorientare i famosi Neet per cercare di riportare all’interno del mondo del lavoro giovani che non studiano o che fanno lavori sottoqualificati.
(Paolo Rossetti)
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