Accordo dazi UE-USA penalizza l'Italia. Meloni cerca contromisure in Europa, mentre export made in Italy rischia il collasso.
Dimostra un’innegabile accortezza accogliendo con cautela estrema l’accordo sui dazi che Ursula von der Leyen ha annunciato con Donald Trump. Per in casi come questo, il diavolo si nasconde nei dettagli. E, per quel che se ne sa sinora, i dettagli descrivono una capitolazione quasi completa alle pretese a stelle e strisce. Unica buona notizia è vedere scongiurata una guerra commerciale senza quartiere fra le due sponde dell’Atlantico.
Solo di questo Meloni può dirsi soddisfatta, come fa in un comunicato a tripla firma, con Salvini e Tajani. Come se avesse bisogno di dimostrare che la compattezza del governo italiano non è messa in discussione da nessuno. Non ci sarà la tanto temuta escalation delle tariffe e, forse, ci sarà un quadro stabile di riferimento, come chiedevano le imprese. Ma quello che le imprese non chiedevano è una mazzata tremenda sul nostro export. Palazzo Chigi definisce sostenibile il 15% di base, ma probabilmente è consapevole che le cose non stanno esattamente così.
Questo livello di tassazione mette infatti in ginocchio parecchi comparti in cui il made in Italy svetta, in particolare nell’agroalimentare, con il settore primario già sul piede di guerra per i tagli drastici agli stanziamenti europei annunciati da von der Leyen. E vista la vicinanza di varie associazioni agricole al governo, Coldiretti in testa, per la premier sarà davvero complicato dare risposte a questo malcontento.
Certo, va capito quali prodotti verranno inclusi nella lista “zero per zero” accanto a aerei, farmaci di base e semiconduttori, ma non può essere un caso se la maggiore soddisfazione viene espressa da Berlino, visto che scenderanno al 15% i dazi sulle auto. Al contrario, resteranno al 50% quelli su alluminio e acciaio, che toccano anche i produttori di qualità del nostro Paese. E la Francia verrà meno toccata dalla necessità di comprare molto più gas e petrolio dagli USA perché gran parte della sua energia la produce grazie al nucleare.
Certo, Macron non può fare i salti di gioia per la promessa di comprare più armi dagli americani. Per l’Italia, però, è sconfitta su tutta la linea, con la beffa che il GNL del Qatar costa molto meno di quello che ci toccherà importare dagli States.
Inevitabile che dall’opposizione partissero bordate violentissime all’indirizzo del governo e della Commissione europea. Dall’intero fronte dell’opposizione, dal PD ai 5 Stelle, da AVS a Calenda, l’accusa è aver subito una disfatta che avrà costi altissimi per la nostra economia. La premier può anche masticare amaro, ma l’occasione è troppo ghiotta per non mettere sotto attacco il governo.
Ora Meloni non ha altra scelta, se non trasferire la lotta all’interno dei confini dell’Unione europea. Perché la resa di von der Leyen a Trump non può rimanere senza conseguenze sulle politiche dell’Unione europea. Perché è dentro i confini dei 27 che vanno ricercate tutte le compensazioni possibili, a costo di buttare all’aria scelte politiche di fondo.
Che si vada in questa direzione lo fa capire proprio il comunicato del governo italiano, in cui si legge che “continuiamo a lavorare a Bruxelles per rafforzare il Mercato Unico, semplificare le nostre regole, tagliare la burocrazia, diversificare le relazioni commerciali e ridurre le nostre dipendenze”. Dove il “continuiamo” indica come la pressione di Palazzo Chigi su Bruxelles sia destinata ad aumentare esponenzialmente per ottenere, ad esempio, la radicale revisione della transizione green. Una questione che riguarda il settore dell’automotive, ma anche quello dell’efficientamento energetico delle abitazioni.
Con quali strumenti procedere? Semplice, anche questo è scritto nel comunicato di Meloni, Salvini e Tajani: “Siamo pronti ad attivare misure di sostegno a livello nazionale, ma chiediamo che vengano attivate anche a livello europeo”, per quei settori che dovessero risentire particolarmente delle misure tariffarie statunitensi.
Quindi, non solo regole autoimposte da rivedere profondamente, ma anche soldi da trovare, con la conseguenza che la bozza di bilancio pluriennale presentata nelle scorse settimane per l’Italia è praticamente carta straccia, da rivedere da cima a fondo.
Meloni non ha scelta: dovrà fare la voce grossa in Europa per dimostrare sul piano interno di sapere incidere. Von der Leyen è avvisata: o cambia rotta, o il suo futuro è appeso a un filo.