Nel summit tra Donal Trump e Vladimir Putin si è parlato anche di possibili accordi commerciali, che creerebbero più di un problema all'Ue

Il summit per la pace in Ucraina tra Putin e Trump in Alaska è finito senza un accordo anche se per il Presidente americano il meeting è stato “molto produttivo” e sono stati fatti “grandi progressi”. La conferenza stampa, in cui i giornalisti non hanno potuto fare domande, si è conclusa con l’auspicio di entrambi i Presidenti di un nuovo incontro a breve termine. Trump dovrà intanto riferire il contenuto delle discussioni “alla Nato” e ad altri soggetti coinvolti dalle trattative; Putin ha invece invitato l’inquilino della Casa Bianca a Mosca.



Sia Putin che Trump nel corso della conferenza hanno fatto riferimento a sviluppi commerciali e economici; le opportunità di “business” sono state evocate nelle ore precedenti l’incontro anche da importanti esponenti dell’Amministrazione americana. Ieri l’inviato speciale americano, Steve Witkoff, ha fatto riferimento alla “possibilità di rifondare le relazioni russo-americane attraverso opportunità commerciali molto interessanti”.



America e Russia sono due dei tre principali produttori di idrocarburi al mondo. Un accordo potrebbe includere sia una spartizione delle sfere di influenza e dei mercati di esportazione sia un’intesa sui livelli di prezzo sotto cui non scendere. Per la Russia, che è arrivata a spendere oltre il 7% del Pil per la guerra in Ucraina, sarebbe un’occasione d’oro per sistemare il bilancio pubblico; per la Governatrice della Banca centrale russa, secondo quanto dichiarato pubblicamente qualche settimana fa, le risorse finanziarie di Mosca sarebbero infatti esaurite.

Nel vecchio mondo il settore petrolifero russo si alimentava di macchinari e ingegneria tedesca, oltre che italiana; nel nuovo mondo le imprese di servizi petroliferi americane avrebbero la capacità e la forza finanziaria per rilanciare il settore russo facendone un grande “business”. Inutile dire che qualsiasi accordo commerciale sarebbe una minaccia per l’Europa che si ritroverebbe con molti meno margini di manovra. Russia e Stati Uniti, i due principali produttori globali, difficilmente si accorderanno per abbassare i prezzi del gas e del petrolio.



Il secondo aspetto commerciale riguarda invece la Cina. La fretta di Trump di chiudere un accordo con Mosca è coerente con l’orizzonte “anti-cinese” di questa Amministrazione e, per la verità, anche di quelle che l’hanno preceduta. Pechino è il rivale strategico di Washington e la guerra commerciale di questi mesi, con i dazi che vanno e vengono, sembra lo strumento con cui forzare la mano ad alleati e partner per ottenere obiettivi politici ed economici.

Sia l’accordo commerciale con il Regno Unito che quello con l’Europa sono stati subordinati a impegni “anti-cinesi”. Chiudere la guerra in Ucraina e firmare un accordo con la Russia permette agli Stati Uniti di concentrarsi sul Pacifico e sulla rivalità con la Cina magari allentando l’alleanza tra Pechino e Mosca. Se la priorità di Trump è la Cina, allora occorre immaginare che ci sia grande flessibilità, da parte americana, a venire incontro a Mosca e invece poca sensibilità verso le esigenze europee.

In questi giorni e settimane, in attesa del prossimo incontro, toccherà alla politica europea esprimersi sugli sviluppi di ieri. Ieri Trump ha dichiarato che “l’Europa non mi dice cosa fare”. Forse l’Europa non dice cosa fare perché non sa cosa fare stretta tra la speranza della pace e i timori di un accordo svantaggioso.

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