La trans Alessia Cirillo è morta a soli 30 anni di cancro al polmone e infuria la polemica per il manifesto funebre nel quale la famiglia adottiva la ricorda chiamandola “Alessio“, al maschile. La cosa certa è che la vita di Alessia Cirillo è stata una somma di sofferenze, ripercorsa da un articolo del Mattino.
Nato maschio in Russia, suo padre naturale faceva affari con la malavita russa e una volta fu rapito con la famiglia, che dovette assistere anche all’uccisione di una sorellina. Ecco dunque che per il piccolo l’adozione a soli sette anni da parte di una famiglia di Pompei poteva essere l’inizio di una vita finalmente felice, invece purtroppo così non sarà.
Alessia voleva infatti essere donna e, quando fu intervistata da Enrico Lucci per le Iene, la famiglia Cirillo la cacciò di casa, incapace di sopportare lo scandalo. Erano tre anni fa e Alessia decide di trasferirsi a Perugia, dove però ha dovuto affrontare questo tumore al polmone che alla fine l’ha portata alla morte, ma non alla pace a causa appunto della polemica sui manifesti che la famiglia Cirillo ha fatto affiggere per ricordare la morte di “Alessio”.
ALESSIA CIRILLO: IL RACCONTO DI UN’AMICA
L’amica Paola ha ricordato al Mattino la triste vicenda di Alessia Cirillo a partire dall’infanzia difficile in Russia e poi dall’intervista concessa alle Iene: “In quell’occasione Enrico Lucci aveva seguito un pellegrinaggio della comunità LGBT a Montevergine e Alessia si era fatta intervistare con l’entusiasmo e l’esuberanza che la contraddistinguevano. I genitori sapevano che quel figlio adottivo in realtà voleva essere donna, ma fin quando era rimasto un fatto privato, avevano fatto finta di niente.
Poi, quando Alessia andò a dirlo in televisione, per loro fu una vergogna troppo grande e la mandarono via. Alessia è sempre stata donna, anche nelle sembianze fisiche. Prima che si ammalasse, aveva iniziato il percorso per il cambio di sesso, chiedendo anche la modifica dei documenti, ma purtroppo non è riuscita a completarlo. Per questo quel ‘Signor Alessio Cirillo‘ scritto dalla famiglia sul suo manifesto funebre è un oltraggio alla sua memoria”.
L’abbandono da parte di due famiglie, la battaglia per farsi accettare come donna, la lotta con il cancro condotta in “tacchi a spillo e abiti alla moda” mentre la famiglia “non è mai andata a trovarla in ospedale”. A Perugia Alessia aveva trovato una terza famiglia, l’associazione Spazio Bianco, che l’aveva praticamente adottata e se n’era presa cura durante la malattia e dopo la sua morte ha fatto affiggere manifesti con il nome “Alessia Cirillo”.