Nonostante il cessate il fuoco, a Gaza entra solo metà dei camion pattuiti: cibo e farmaci scarseggiano e gli aiuti non sono stati organizzati a dovere

Le armi non sparano più a Gaza. O almeno lo fanno molto meno di prima. Eppure, al di là di questo, gli effetti della pace gran parte della popolazione non li ha ancora visti. Perché gli aiuti promessi, quelli che dovrebbero dare finalmente un po’ di sollievo a una popolazione martoriata da due anni, in realtà non arrivano come dovrebbero.



Anzi, spiega padre Ibrahim Faltas, della Custodia di Terra Santa, proprio la gente racconta che gli aiuti arrivati dall’Egitto non sono assolutamente sufficienti a soddisfare i bisogni delle persone. E non solo per quanto riguarda il cibo, ma anche e soprattutto per la mancanza di medicinali e attrezzature sanitarie.



Gli aiuti faticano ad arrivare anche perché non sono stati organizzati a dovere. La speranza è che gli organismi internazionali, a partire dall’ONU, tornino ad occuparsi della distribuzione.

Il Papa alla FAO ha detto che la fame non deve essere usata come arma di guerra, non solo a Gaza.  Sconfiggere la fame ora è il primo problema nella Striscia?

È uno dei problemi, sicuramente il più grave. Prima di tutto deve essere assicurata la tregua, che deve diventare un cessate il fuoco definitivo. Sconfiggere la fame è urgente come bisogno vitale di chi ha già sofferto troppo a Gaza. Il Santo Padre ha affermato una verità. La fame non può essere usata come arma di guerra, è disumano privare esseri umani innocenti, indifesi, feriti e oltraggiati di un diritto essenziale.



Nonostante l’accordo sembra che stiano entrando solo la metà dei camion di aiuti concordati per la popolazione palestinese, 300 invece che 600. Il valico di Rafah è stato chiuso: una decisione che sarebbe dovuta alla mancata consegna dei cadaveri di alcuni ostaggi. Com’è davvero la situazione? Quali e quanti aiuti arrivano?

Queste sono le notizie che arrivano e sono confermate dalla popolazione. Gli aiuti entrati dall’Egitto sono ancora insufficienti a dare un vero sollievo ai sopravvissuti a Gaza. Spero che l’accordo di pace abbia previsto prima di tutto la possibilità di salvare vite umane e che si sblocchi presto questa situazione.

Di cosa c’è bisogno in questo momento a Gaza, quali sono le priorità?

Palestinesi prendono aiuti da un camion arrivato a Khan Yunis, Striscia di Gaza, 12 ottobre 2025. EPA/HAITHAM IMAD

Mi hanno detto che oltre al cibo, all’acqua potabile, all’elettricità mancano farmaci e attrezzature sanitarie. Ci sono molti ammalati che non ricevono medicine specifiche per le loro patologie da molti mesi, ci sono molti feriti che non possono essere operati per mancanza di sale chirurgiche efficienti e di personale sanitario. Fra le migliaia di vittime di Gaza, moltissimi erano medici e infermieri.

Quali sono le procedure che bisogna seguire per inviare aiuti e quali difficoltà si incontrano? Chi materialmente li consegna ora e come?

La situazione non è ancora chiara. Molte organizzazioni sarebbero pronte a portare aiuti e molti volontari sono disponibili ad andare a Gaza. Non si conoscono ancora molti aspetti importanti di questo accordo di pace, ma mi auguro che al più presto siano gli organismi internazionali ad occuparsi della distribuzione degli aiuti umanitari. Bisogna fare presto, la gente ha sofferto troppo.

La guerra ha causato anche molti feriti e ha impedito a chi era malato di curarsi: dopo l’accordo c’è la possibilità anche di avere più cure all’interno della Striscia o di uscire per farsi curare altrove? Qualcosa è cambiato?

In questi due anni è stato molto difficile aiutare chi aveva bisogno di cure. Era difficile uscire, era impossibile entrare a Gaza. Siamo riusciti a fare uscire con molta difficoltà molti bambini e i loro accompagnatori. Dopo l’accordo, c’è possibilità di uscire, ma è una possibilità che va gestita cercando di aiutare i casi più gravi. Le necessità sanitarie sono tantissime e gli ospedali sono stati distrutti o hanno subito gravi danni. Penso ci voglia tempo e organizzazione per vedere risultati concreti. L’importante è che si inizi ad aiutare e a curare.

Molti dopo la tregua si sono spostati verso le loro zone di provenienza, ritornando a quello che resta delle loro case. Alla difficoltà di far arrivare gli aiuti si aggiunge anche quella di raggiungere queste persone?

Le difficoltà di movimento a Gaza sono enormi, non esistono strade, non esistono punti di riferimento. Alcuni parrocchiani rifugiati nella Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza sono usciti per andare a cercare le loro case, ma si sono persi fra le macerie. Non sono riusciti a riconoscere nulla, tutto è stato distrutto, non ci sono più neanche gli alberi o altri segni di vita della natura a Gaza. Sarà molto difficile ricostruire Gaza, sarà ancora più difficile ricostruire le persone, ma bisogna ricordare il passato per costruire il futuro. Continuiamo a credere, a pregare, a sperare.

(Paolo Rossetti)

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