ALLARME FINE VITA IN GIAPPONE: C’È IL RISCHIO DELL’EUTANASIA
Il Giappone è la nazione con il maggior tasso di anziani nel mondo, molto peggio dell’Italia: anche e soprattutto per questo motivo, da anni è dibattito nel Sol Levante in merito al fine vita, ai servizi per gli anziani e, ultimamente, anche sull’eutanasia. Da mesi ormai il Governo giapponese sta cercando di adottare iniziative per incoraggiare le persone a rimanere a casa e a ricevere cure palliative: lo spiega un lungo reportage di “Le Monde” sullo spinoso caso dei centinaia di migliaia di anziani cui il Giappone deve prendersi cura.
«La medicina ha fatto passi da gigante nel mantenere le persone in vita, ma abbiamo dimenticato quello che i medici di un tempo sapevano fare: dare sostegno e consolazione», lamenta Xavier Emmanuelli, cofondatore di Medici senza frontiere (MSF), intervistato da “Le Monde” per raccontare la storia di un medico in pensione (Oichiro Kobori) che da anni ormai ha scelto di diventare un medico locale che visita le persone alla fine della loro vita.
DAL FILM “PLAN75” AI PIANI SULLE CURE PALLIATIVE: IL TEMA DEL FINE VITA IN GIAPPONE
Il Ministero della Salute ha aperto in questi anni in Giappone delle “case famiglia”, simili ad asili nidi per bambini, ma dedicate agli anziani: «è la famiglia, non il paziente, a cui vengono presentate le conclusioni diagnostiche», afferma la dottoressa Kae Ito, psichiatra responsabile del Gruppo di Ricerca sull’Inclusione presso l’Istituto di Geriatria di Tokyo. I medici restano in bilico nel Sol Levante tra la cura e assistenza attiva fino ala morte, o la messa in strutture specializzate in cure palliative.
«Siamo divisi tra tra il rispetto della richiesta di una persona capace di giudizio e i valori prevalenti in Giappone, che danno il primato alla famiglia», spiega ancora la dottoressa raggiunta da “Le Monde”. Il rovescio della medaglia della compassione manifestata dal settore della sanità è l’indifferenza verso gli anziani in alcuni settori della popolazione: secondo il reverendo Sudo del tempio Kudoji (prefettura di Aomori), «la morte spaventa i giovani ma, a giudicare dalle loro richieste, non è tanto il destino degli altri, o dei loro cari, quanto la loro stessa scomparsa a preoccuparli». È per questo che aleggia sempre più in maniera inquietante una linea di pensiero che vede nell’eutanasia “dolce” la soluzione per i tantissimi anziani che “affollano” il welfare nazionale. Quanto mostrato solo lo scorso anno dal visionario e distopico film “Plan75” sembra essere sempre più il dibattito “prossimo” del Giappone: nel film la regista Chie Hayakawa immagina che un giorno lo Stato offra agli anziani sopra i 75 anni l’eutanasia volontaria, per alleggerire il “peso” di mantenere in vita queste persone “improduttive”. Ancora oggi ben 6,7 milioni su 35 milioni di over 65 (quasi un terzo della popolazione) vivono da soli in Giappone: il fenomeno della “morte solitaria” (kodokushi) è sempre più spesso raccontato dalle cronache locali. Se a questo si aggiunge la “tentazione” di risolvere il problema dei tanti anziani con l’eutanasia ecco che dalla distopia si rischia di svegliarsi nella dura realtà: ai tanti progetti compassionevoli e volti alle cure palliative il merito di resistenza rispetto alla “cultura della morte” che tante volte Papa Francesco e la Chiesa hanno denunciato anche nella più “religiosa” Europa.
«Ho cercato di criticare qualunque tipo di società che non mette al primo posto la dignità umana ma l’economia e la produttività», raccontava la regista di “Plan75” all’AgenSIR lo scorso anno. Dopo l’uscita di quel film i vescovi nipponici nella loro ultima relazione sulla Chiesa in Giappone hanno sottolineato come «la pastorale missionaria si sta indebolendo a causa dell’invecchiamento dei sacerdoti e dei laici, e i giovani lasciano la Chiesa»; a maggior ragione, si coglieva l’urgenza dell’annuncio evangelico, «La Chiesa cattolica in Giappone non ha ancora annunciato con il dovuto impegno il Vangelo di Cristo né al proprio interno né alla società. Gli sforzi dei credenti per annunciare il Vangelo sono una sfida per il futuro, ma la prima sfida è quella di evangelizzare i credenti stessi, per creare una comunione forte, animata dalla Parola di Dio. A tal fine, devono anche essere formati per affrontare la realtà delle nuove sfide».