Altri cinque anni di guerra in Ucraina. Così sembrano far intendere certe frasi che Putin avrebbe pronunciato a marzo nel suo incontro con il presidente cinese Xi Jinping. Dichiarazioni un po’ datate ma che escono ora, forse per mandare un segnale all’Occidente e convincerlo che è meglio mettere fine al conflitto.
Un’interpretazione, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi tra cui Afghanistan, Libano, Somalia e Kosovo, che ha una sua logica, anche se i tempi lunghi potrebbero significare altri obiettivi da raggiungere per i russi oltre alla conquista del Donbass e della Crimea. Di certo Mosca è più pronta a sostenere un conflitto lungo, mentre l’Ucraina è sempre più alle prese con il problema delle risorse umane e con la necessità di arruolare nuovi soldati. Di fatto, però, a Kiev potrebbe convenire trattare. E la Nato sembra preparare questa eventualità cambiando la narrazione della guerra, cominciando a parlare di grosse perdite russe, addirittura 350mila uomini, come se questo bastasse per parlare di vittoria e giustificare l’apertura di una trattativa di pace.
Generale, davvero Putin ritiene che la Russia combatterà in Ucraina per altri cinque anni?
A Putin si attribuiscono posizioni contrastanti, anche quella di essere disponibile a una trattativa. Io prenderei in considerazione l’ultimo discorso che ha fatto perché riflette quello che è adesso lo stato dell’arte: ha parlato di trattative ma solo nell’interesse della Russia, senza concessioni territoriali. In quella dichiarazione ha sollevato anche un problema del quale si parla da tempo, facendo una disamina storica di come si è costituita l’Ucraina, con una concessione di territori sia da parte russa, quando è stata creata l’Unione Sovietica, sia da parte di Polonia, Slovacchia e Romania. Putin si è addirittura proposto come garante dell’Ucraina nel caso gli altri Paesi rivolessero indietro alcuni territori. Penso che questo rifletta meglio la sua posizione piuttosto che la dichiarazione ripescata dall’incontro con Xi in cui si parla di altri cinque anni di guerra.
Il presidente, quindi, ha parlato come se la Russia si facesse garante dell’integrità ucraina?
Certo. E in Ucraina qualcuno gli risponde non in modo ostile. Arestovich, che era il delfino di Zelensky, parla di un conflitto controproducente, fra cugini, che non ha portato a niente.
Vuol dire che in Ucraina riemerge un’anima filorussa?
Che ci sia una presenza affine alla Russia non c’è ombra di dubbio. Gli odi tra i due Paesi erano più che altro riferiti alla natura comunista dell’Urss, a Stalin, responsabile dell’Holodomor, lo sterminio per fame degli ucraini. Di certo la compattezza della classe politico-militare in Ucraina sembra incrinarsi: Zaluznhy ha criticato l’ostinazione di Zelensky sulla controffensiva. I due si rimpallano la responsabilità di aver chiesto una mobilitazione generale di 500mila uomini, un problema di carattere sociale enorme.
Tra i provvedimenti previsti c’è l’istituzione di posti di blocco per controllare chi deve rispondere alla chiamata nell’esercito e l’abbassamento a 25 anni dell’età minima per arruolarsi. Il problema delle risorse umane dell’esercito resta in primo piano?
Zelensky dice che lo vogliono i militari, Zaluznhy dice che non è così. In realtà, lo dice la logica, questo è un problema di carattere politico. Una decisione impopolare che ha prodotto delle crepe. Non vuol dire che la posizione di Zelensky sia a rischio, tuttavia il presidente ucraino si trova ad affrontare una situazione in cui il supporto avuto finora dalla classe politico-militare sta venendo meno.
Come mai questa dichiarazione di Putin su altri cinque anni di guerra, che risalirebbe a qualche mese fa, è stata ripresa proprio ora? Cosa significa?
La si potrebbe valutare sulla base dei veri obiettivi della guerra. Un conflitto potrebbe durare cinque anni perché gli obiettivi da raggiungere sono complessi. Non si tratta solo di Donbass e Crimea ma di qualcosa di più? O il capo del Cremlino ha parlato di cinque anni perché vede una volontà pugnace da parte degli ucraini? Non lo so. Ma di fronte a un’affermazione di questo genere anche le opinioni pubbliche occidentali probabilmente sono un po’ spaventate: se questa guerra proseguisse cinque anni l’Europa rischierebbe molto.
Allungare così i tempi del conflitto potrebbe essere un modo per convincere l’Occidente a trattare, facendolo riflettere sulle conseguenze di uno scontro per un così lungo periodo?
Può anche essere questo. L’Occidente dovrebbe prendere in considerazione un altro lustro di combattimenti nonostante tutti gli sforzi fatti dal punto di vista finanziario, degli armamenti, del supporto dato, mentre prima qualcuno diceva che la Russia avrebbe dichiarato default.
In Germania il ministro delle Finanze Lindner sta mettendo un freno agli aiuti per l’Ucraina, sostenendo che i tedeschi sono già il secondo Paese sostenitore e che ora tocca anche agli altri. Con un approccio del genere la prospettiva di una guerra lunga diventa ancora più indigesta?
Certo. Anche se Putin non può avere la sfera di cristallo: quantificare in cinque anni la durata della guerra come qualcosa di programmaticamente così certo è difficile. In vista ci sono le elezioni Usa e quelle europee: ci sono tante variabili. L’affermazione di Putin può essere interpretata come un avvertimento: “Sappiate che possiamo andare avanti ancora a lungo”.
La Russia rispetto all’Occidente ha anche il vantaggio di avere una industria bellica rodata, in grado di sostenere le esigenze della guerra. In Europa in particolare per reggere il confronto occorrerebbe una riqualificazione di molte fabbriche. Conta molto questo aspetto?
Per la Russia riconvertire produzioni industriali in quelle belliche è stato possibile. Per noi lo sarebbe? Abbiano un’industria siderurgica, che in buona parte abbiamo distrutto, in grado di produrre il munizionamento necessario? Ci sono ragioni economiche che non ci permettono di farlo. È difficile convincere un’impresa a cambiare. È stato fatto durante la Prima e Seconda guerra mondiale, ma lì, appunto, eravamo in guerra. Ora come ora, tuttavia, il problema dell’Ucraina è che ha bisogno di uomini da mandare a combattere.
Qualche risultato gli ucraini lo hanno ottenuto sul mare, distruggendo una nave russa da sbarco in Crimea: è abbastanza per riguadagnare un po’ di fiducia?
La situazione è critica nella guerra terrestre. Sul mare hanno messo a segno un colpo importante grazie all’intelligence della Nato. Condurre un’operazione su fronte ampio sul terreno, invece, non è così facile.
Anche gli Usa sembra ormai che da Kiev si aspettino solo che tenga le posizioni: per l’Ucraina è giunto il momento di trattare?
Mi sembra che Usa e Nato stiano cercando di definire diversamente una possibile vittoria, cominciano a dire, non so su che basi, che il 90% dell’esercito russo che aveva iniziato le operazioni è stato distrutto, che sono morti 350mila soldati, cifra anche questa tutta da verificare. Una volta che si è fatta passare un’idea del genere nell’opinione pubblica si potrà ridurre Zelensky a più miti consigli. Mi pare si stia cercando il modo di uscirne senza che venga messa in dubbio la superiorità dei mezzi e delle dottrine occidentali.
(Paolo Rossetti)
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