La fuga a Mosca di Bashar Al Assad a seguito della travolgente e repentina offensiva di Hayat Tahrir al Sham contro il regime alawita (sciita) sta portando ad una svolta, non necessariamente positiva, in una guerra che dura dal 2011. Al momento è certo: Assad è fuggito a Mosca con l’ultimo aereo in partenza da Damasco, sabato mattina. La famiglia era già in Russia da qualche giorno. Diversi alti ufficiali siriani invece sarebbero giunti ieri mattina in Cirenaica in attesa di partire per Mosca. Al momento, sul terreno, i turchi – secondo esercito Nato – hanno consolidato e aumentato le loro posizioni nel nord del Kurdistan. Gli israeliani sono penetrati nel Golan siriano oltre i confini del 1973. Le navi russe di stanza in Siria hanno abbandonato il porto di Tartus. Il regime di Assad si è sciolto come neve al sole e quasi senza sforzo, e in dieci giorni di passeggiata bellica HTS ha preso la capitale Damasco.
Questa guerra era cominciata contro gli Assad nel solco delle altre primavere arabe. I disordini cominciarono il 15 marzo 2011 quando i siriani avviarono pesanti manifestazioni contro il regime laico di Assad. I disordini sfociarono in una guerra civile tra le truppe governative e i ribelli dell’Esercito Siriano Libero. All’inizio gli eventi volsero a favore dei ribelli, ma poi ci fu l’intervento di Hezbollah nel 2012, quello dell’Iran nel 2013 e quello russo nel 2015. Nel 2013 entrò in Siria anche l’Isis col nome di Jabhat al Nusra che conquistò i territori ad est della Siria per formare lo Stato islamico.
L’intervento russo in particolare fu risolutivo per l’utilizzo dell’arma aerea, che con massicci bombardamenti permise alle milizie governative di resistere e riguadagnare territori. L’obiettivo del Cremlino era garantirsi una presenza stabile nel Mediterraneo, e allargare la sua influenza nel Medio Oriente e sul Canale di Suez approfittando del disimpegno degli USA. Il successo russo in Siria è stato il massimo risultato geopolitico dell’era Putin. Per garantirsi lo sbocco nel Mediterraneo e rompere l’accerchiamento dei sunniti anche l’Iran, che ora come allora ha difficoltà a proiettarsi militarmente fuori dei confini, per procura, ossia attraverso varie milizie sciite tra cui Hezbollah, contribuì al sostegno di Assad.
Nella vicenda il ruolo della Turchia è stato importante, ma ambiguo come sempre nell’era di Erdogan, appoggiando e finanziando, fino al giugno 2016, i ribelli per contenere l’Iran e successivamente rivolgendosi contro i curdi siriani, temendo una loro saldatura con i curdi turchi a destabilizzare il suo governo. A margine della guerra, la vicenda dell’Isis che si protrasse fino al 2019 con la morte dello sceicco Al Baghdadi. Fino ad oggi, anche se la guerra non era finita, Assad era comunque riuscito a mantenere il controllo del Paese fino alla dissoluzione e alla rovinosa caduta arrivata negli ultimi dieci giorni.
Fin qui la cronaca. Ma cos’è che ha permesso l’improvviso comporsi di un quadro tanto netto nella complicata cornice mediorientale? È stato messo a nudo l’isolamento della Repubblica islamica, la sua debolezza e la scarsa deterrenza. La reazione di Teheran è stata limitata ad una dichiarazione di biasimo che addossa le colpe della caduta ad Assad, colpevole di aver stretto le alleanze sbagliate. La direzione della fuga degli Assad ci porta al secondo attore, la Russia. Cosa spinge Putin ad abbandonare un’ottima posizione sul Mediterraneo, se non il bisogno di concentrare le forze in Ucraina, per un’ultima, possibilmente decisiva, offensiva in vista della fine ormai necessaria della guerra, voluta ora Donald Trump? Ma potrebbe anche darsi che Putin si offra di mollare la presa sul Medio Oriente in cambio del disimpegno Nato in Ucraina.
Da ultimo ma non per ultimo, notiamo la forte (per ora) saldatura tra Israele e il mondo sunnita che l’Iran tramite Hamas ed Hezbollah aveva cercato di insidiare a partire dal massacro del 7 ottobre. Non è bastato agli ayatollah far deflagrare le tensioni tra arabi ed israeliani, tuonare contro il nemico sionista e richiamare gli arabi all’unità degli islamici per spezzare il fronte degli Accordi di Abramo. L’umiliazione dell’isolamento e della sconfitta, dopo quella esterna, potrebbe incrinare la tenuta interna del regime teocratico basato sulla narrazione pan-islamica e anti-occidentale. Questa rivoluzione negli equilibri del Medio Oriente potrebbe essere la miccia di una nuova rivoluzione in Iran.
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