Stefano Anastasia, ricercatore di filosofia e sociologia del diritto nell’Università di Perugia, e Armando Spataro, ex magistrato e giurista, si sono confrontati a Dilemmi, in onda su Rai 3, sul tema del carcere. Il professore è dell’idea che questo andrebbe abolito. “È una istituzione fallimentare, in quanto riproduce la criminalità che vorrebbe eliminare. Esso contravviene sia al limite di pene posto dalla Costituzione – che sancisce il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità – sia al suo scopo rieducativo. Le persone che scontano la loro pena integralmente in carcere, nel 66% dei casi entro cinque anni ci rientrano”, ha affermato.
Le soluzioni da attuare, secondo l’esperto, dovrebbero essere diverse. “Le alternative al carcere sono numerose, ci sono tante sanzioni non detentive che producono un risultato molto più significativo. L’Italia in questo senso è molto indietro rispetto a Germania, Inghilterra e altri Paesi vicini. Soprattutto nei casi in cui c’è un confronto diretto tra un autore e una vittima, si può lavorare a quell’idea di giustizia riparativa. È possibile ricostruire un legame e una comunicazione, soltanto così si può superare lo scontro”. E sull’ergastolo: “È una pena capitale come quella di morte. Le modalità per ovviare ci sono, ma le statistiche rivelano che in un anno 27 ergastolani hanno ottenuto la libertà condizionale e 111 sono morti in carcere. Così come diciamo no alla pena di morte, dovremmo dire no anche all’ergastolo”.
Anastasia: “Carcere va abolito, è fallimento”. La replica di Spataro
Armando Spataro non è della stessa idea di Stefano Anastasia sul tema dell’abolizione del carcere. “La mia esperienza con la criminalità e con la mafia mi ha portato tante volte nelle carceri. Quando sono entrato in magistratura, ho portato con me a Milano un promemoria che aveva scritto mio padre, pubblico ministero per decenni, nel ’76. Diceva: ‘Ordini di cattura, usarli con parsimonia e evitarli nei casi lievi’. È una materia con la quale si ci deve sempre confrontare usando freddezza e ragione. È fuori dal mondo dire che il carcere non sia ammesso dalla Costituzione, dato che si parla di pene proprio nell’art. 27. Il carcere ha una sua ragion d’essere per i fatti di una certa gravità, mentre per quelli di lieve entità se ne può fare a meno”.
Le motivazioni per cui è impensabile una cancellazione del sistema attuale sarebbero diverse. “Non si può tradire la fiducia del cittadino nei confronti della podestà punitiva dello Stato, altrimenti si dà spazio alla giustizia fai da te. La finalità rieducativa può svilupparsi anche nel carcere. La sicurezza non è null’altro che un diritto collettivo, non individuale. Lo Stato deve garantire la sicurezza e la punizione nei confronti di chi infrange la legge, anche con l’ergastolo. Quest’ultimo non va abolito, ma è necessario prevedere dei benefici per qualsiasi detenuto, al di là dell’essere o meno collaboratori di giustizia. È fondamentale però in tal senso il ruolo della magistratura di sorveglianza per evitare che vengano nuovamente commessi dei reati”, ha concluso.