La Corte Suprema Usa ha dato ragione ad una fotografa che ha intentato causa contro Andy Warhol per un ritratto di Prince
La Corte Suprema Usa dà ragione alla fotografa Lynn Goldsmith che aveva intentato una causa contro l’artista Andy Warhol, accusato di avere violato il suo diritto d’autore relativo ad una foto del cantante e musicista Prince. Il caso, che ha visto la Corte esprimersi con una maggioranza di 7 a 2, riguardava le immagini del musicista dipinte proprio da Warhol nel 1984 per un servizio su Vanity Fair.
“Il lavoro originale della Goldsmith, come quello di altri fotografi, ha diritto di essere protetto anche contro artisti famosi”, secondo il giudice della Corte Sonia Sotomayor, come sottolinea nel parere di maggioranza. La collega Elena Kagan, in minoranza insieme al giudice capo della Corte, John Roberts: “La decisione farà il mondo più povero. Soffocherò la creatività. Impedirà nuove creazioni artistiche, musicali e letterarie, l’espressione di nuove idee e il raggiungimento di nuove conoscenze”.
Vanity Fair e la pubblicazione dell’immagine nel 2016
Andy Warhol, scomparso nel 1987, aveva usato come base di partenza una foto scattata da Goldsmith. Alla fotografa, Vanity Fair aveva pagato il diritto di sfruttamento dell’immagine. Tra le varie opere create da Warhol, la rivista ne scelse una da pubblicare sulla rivista. Nel 2016, Vanity Fair pubblicò un’altra delle immagini create da Warhol, dopo la morte dello stesso Prince. Da qui, il caso finito davanti ai giudici della Corte.
L’artista, come spiega l’Ansa, in una serie di 16 immagini aveva alterato la foto in bianco e nero in vari modi, colorandola e ritagliandola. Una di queste era stata poi pubblicata su Vanity Fair nell’articolo Purple Fame. Alla morte di Prince nel 2016, Conde Nast aveva deciso di pubblicare un numero speciale sul musicista, pagando alla fondazione dell’artista oltre 10 mila dollari per usare in copertina una diversa immagine dalla serie. La Goldsmith, però, non aveva ricevuto alcun compenso o riconoscimento, facendo così causa. Per i giudici di Washington, un’opera è “trasformativa” se “aggiunge qualcosa di nuovo, con uno scopo ulteriore, alterando la prima con una nuova espressione, significato o messaggio”.
