Con il virus dell’aviaria che sembra essere sempre più diffuso in ogni parte del mondo, un recente studio condotto in Australia sembra aprire a scenari potenzialmente tragici nel caso in cui l’infezione (che per ora seppur sia diffusa non ha ancora raggiunto massivamente l’essere umano, ma ci torneremo) diventasse pandemica: analizzando centinaia e centinaia di studi differenti condotti nel corso degli anni – infatti – i ricercatori australiani hanno appurato per la prima volta che il virus dell’aviaria ha una mortalità del 90% per le donne incinte che non si ravvisa pressoché in nessun altro soggetto, bambini ed anziani inclusi.
Partendo proprio dallo studio, a condurlo sono stati i ricercatori del Murdoch Children’s Research Institute che ha sede a Melbourne partendo dall’attenta analisi di mille e 500 articoli già pubblicati nei quali hanno trovato dati relativi a 30 donne incinte che hanno contratto – ovviamente nel corso della gravidanza – l’aviaria: tra queste esattamente 27 sono decedute proprio a causa del virus, confermando il dato che vi abbiamo già anticipato della mortalità pari al 90 per cento.
La conclusione dei ricercatori – dunque – è ovvia perché seppur per ora l’aviaria non abbia ancora i tratti di un’infezione epidemica e (men che meno) pandemica, prima di arrivare effettivamente a quello scenario è importante che le donne incinte vengano incluse “sistematicamente nei programmi di preparazione pandemica” lavorando in particolare ad eventuali vaccini o terapie che siano adatti ai loro singolari casi al fine di “scongiurare morti evitabili“.
Scatta l’emergenza globale per l’aviaria: la California dichiara lo stato d’emergenza, mentre in Italia sono stati registrati 50 focolai
Insomma, l’avvertimento dei ricercatori è chiaro: l’aviaria è in grado di decimare in pochissimo l’intera popolazione di donne incinte ed è importante che si lavori a vaccini e terapia a loro riservati, soprattutto in un contesto in cui il virus sta diventando progressivamente sempre più presente in ogni angolo del mondo. Partendo – per esempio – dall’Italia, ad oggi si ha certezza di più di 50 focolai del virus all’interno dei nostri allevanti che (fortunatamente) non sono ancora riusciti a fare il salto di specie; fermo restando che a scontarne i maggiori rischi sono attualmente gli allevatori quotidianamente esposti ai capi di bestiame infetti.
D’altra parte, mentre l’Italia gode ancora di una certa protezione, l’aviaria ha già portato lo stato americano della California a dichiarare lo stato di emergenza tra i bovini da latte dopo averne rilevata traccia in almeno 645 aziende nel corso degli ultimi mesi (addirittura il 50% dei casi nell’arco dei soli ultimi 30 giorni): una decisione che non apre a nessuno scenario tragico ma che serve solamente a permettere alle autorità sanitarie di adoperarsi per attuare maggiori controlli e disporre la soppressione e la distruzione degli animali infetti.