Baby detenuto arrestato per tentato omicidio ottiene la libertà dopo un percorso di rieducazione. Giudici: "Ha dimostrato un cambiamento radicale"
Un baby detenuto – un quindicenne piemontese, arrestato nell’estate 2024 per tentato omicidio dopo aver accoltellato un coetaneo durante una lite – è diventato il simbolo del tema della rieducazione minorile: il ragazzo – incensurato e con una vita apparentemente regolare – ha confessato di aver agito per paura dopo giorni di provocazioni razziste («Marocchino di m…»).
Oggi, dopo otto mesi tra il carcere minorile Ferrante Aporti di Torino e una comunità, i giudici hanno deciso di non processarlo, concedendogli la messa alla prova: “Ha compreso l’errore e si è impegnato nel percorso”, hanno scritto nel dispositivo, sottolineando il suo “cambiamento radicale”.
Durante la detenzione, il baby detenuto ha affrontato condizioni estreme: celle sovraffollate, scabbia e la rivolta dell’agosto scorso, quando il penitenziario fu devastato da incendihttps://www.ilsussidiario.net/news/rivolta-nel-carcere-beccaria-di-milano-detenuti-incendiano-un-materasso-ferito-un-agente-otto-intossicati/2743164/.
Ma proprio in quel caos, il baby detenuto ha aiutato gli agenti, dimostrando una maturità inaspettata. “Prima non capivo le mie emozioni, ora so che la violenza è assurda”, ha dichiarato durante l’udienza, mentre la vittima – sopravvissuta miracolosamente – rifiuta ancora di incrociare il suo sguardo.
Il caso del baby detenuto e il nodo della rieducazione
La storia del 15enne riaccende il confronto sull’efficacia del carcere minorile: “In cella ho scoperto cosa significa responsabilità”, racconta il baby detenuto, che nel diario scritto in comunità descrive il percorso da “rinascita”: dalle notti di terrore durante gli incendi alla terapia per gestire la rabbia, fino all’amicizia con una coetanea che lo ha aiutato ad aprirsi.
Gli educatori lo definiscono un caso raro: “Ha trasformato il dolore in consapevolezza”. Ma non tutti applaudono: la famiglia della vittima contesta una giustizia “troppo clemente”, mentre i giudici ribadiscono che la legge minorile punta a reinserimento, non a punizioni esemplari.
Il ragazzo, oggi libero, frequenta la scuola e vorrebbe diventare meccanico: “Il carcere mi ha insegnato a chiedere scusa”, afferma, mentre la società dovrebbe iniziare a interrogarsi: può un sistema penale frantumato – solo il 12% dei minori in Italia completa percorsi di recupero – davvero redimere chi ha sfiorato l’irreparabile? Questo caso potrebbe offrire interessanti spunti di riflessione.