Si è abbattuta come un tornado sulla campagna elettorale di Roma la degenerazione violenta della manifestazione no green pass, e potrebbe influenzarla in maniera significativa. Gli incidenti hanno scosso la città, a una settimana dal ballottaggio per scegliere il successore di Virginia Raggi. Quella rabbia all’ora dello struscio, il sabato pomeriggio in pieno centro, ha fornito alla sinistra benzina a profusione per mettere il candidato di centrodestra in un angolo. Enrico Michetti è espressione del partito di Giorgia Meloni, e a poco sembrano essergli valsi sinora la condanna delle violenze e la visita di solidarietà alla sede nazionale della Cgil.
Anche il tentativo della Meloni (e di Salvini) di trascinare la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, sul banco degli imputati per la cattiva gestione dell’ordine pubblico sembra non funzionare. Michetti invoca un tavolo per la sicurezza, ma il suo problema sembra oggi la missione impossibile di rassicurare i moderati, e attrarre almeno una fetta di coloro che hanno votato al primo turno Carlo Calenda, o la prima cittadina uscente, e che non vogliono il ritorno del Pd alla guida della Capitale. Non solo: la sfida più grande è riportare al voto chi già lo ha scelto al primo turno, il 30% degli elettori.
A complicare ulteriormente la strada verso il Campidoglio l’aver ormai apertamente contro l’influente comunità ebraica romana, dopo la ripubblicazione da parte del Manifesto di un articolo del febbraio 2020, in cui il candidato sindaco del centrodestra sosteneva che vi è più attenzione per il dramma dell’Olocausto rispetto alle tragedie di altri popoli (foibe, rom, ecc.), perché gli ebrei possiedono banche. Le scuse sono arrivate, a ripetizione, il portabandiera del centrodestra ha parlato di “imperdonabile leggerezza”, ma difficilmente basterà a ricucire. E una sua sconfitta sarebbe, senza dubbio, una sconfitta di Giorgia Meloni, e darebbe forza a chi – come Forza Italia – vuole un’area moderata molto meno sovranista.
Nello stesso tempo, nonostante le evidenti difficoltà di Michetti, non è affatto detto che quella dell’ex ministro Gualtieri possa essere considerata una marcia trionfale verso la vittoria. È mancato, infatti, quell’evidente allargamento del consenso che poteva sembrare quasi automatico. Nessun apparentamento, né con Calenda, né con la Raggi. Dal leader di Azione un mezzo endorsement è arrivato, ma il suo al primo turno è stato un voto di opinione, molto trasversale. Difficile capire se davvero si sposterà sul centrosinistra. Grande gelo, invece, con la sindaca uscente, sorda al pressing del Pd su Conte per realizzare anche nella corsa verso il Campidoglio quella convergenza che si sta costruendo a livello nazionale. La ruggine è di vecchia data, e non è stata grattata via.
È proprio il rapporto con il Movimento 5 Stelle il tallone d’Achille di Gualtieri. Quel 19% che la sindaca ha raggranellato al primo turno potrebbe rivelarsi decisivo, sia che quell’elettorato scelga l’astensione, sia che decida di schierarsi. La Raggi sembra ancora in campagna elettorale, non ha rallentato dichiarazioni e frecciate polemiche sui social, con bersaglio privilegiato la Regione Lazio guidata dall’ex leader del Pd, Zingaretti, con cui ha duellato per cinque anni. Il sospetto al Nazareno è che la sindaca uscente sarebbe felice di vedere Gualtieri perdere, magari per minare la leadership di Conte e proporsi come capo della galassia grillina al posto dell’ex premier.
Oggi, comunque, in Campidoglio dopo l’incontro con Michetti che ha fatto molto rumore, la Raggi ne avrà anche uno con il candidato del centrosinistra. Le speranze dem sono comunque riposte in altri grillini, assai più ben disposti nei confronti del Pd, come Roberta Lombardi, che si è schierata con l’ex ministro, forse anche perché da marzo assessore della giunta Zingaretti.
Anche sul versante del centrosinistra che sarà, il ballottaggio di Roma è destinato ad avere un impatto rilevante: la vittoria di Gualtieri coronerebbe la leadership di Enrico Letta e renderebbe concreta la prospettiva di un nuovo Ulivo largo, da Azione a Sinistra italiana. Se, al contrario, Michetti dovesse farcela, contro ogni pronostico, sarebbe l’area centrista ad avere nuova forza: Renzi, Calenda e la stessa Raggi avrebbero buon gioco a dichiararsi indispensabili e ad alzare il prezzo.
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