La Blue Economy offre diverse opportunità lavorative. In alcuni casi si tratta di professioni totalmente nuove
Quando si parla di futuro del lavoro, di solito si pensa alla tecnologia, all’intelligenza artificiale, alla digitalizzazione, raramente al mare. Eppure, oggi più che mai, il mare si sta rivelando una miniera di nuove opportunità professionali.
Non mi riferisco solo a quelle tradizionali del settore marittimo, anche se restano centrali in molte economie locali, ma a ruoli inediti, in alcuni casi nati da pochissimo, che mettono insieme competenze scientifiche, tecniche, ambientali e relazionali.
L’Unesco li definisce Blue Jobs – ovvero tutti quei lavori che aiutano a gestire oceani e mari in modo sostenibile -, un appellativo che comincia a circolare anche nei contesti istituzionali, e non solo tra gli addetti ai lavori. Parliamo di tutte quelle figure che operano nella cosiddetta economia del mare, dalla gestione sostenibile delle risorse ittiche all’innovazione portuale, passando per il turismo esperienziale ed ecosostenibile fino alle biotecnologie marine, all’energia rinnovabile offshore e alla tutela della biodiversità costiera.
Sono tutte filiere innovative, in espansione continua, che coinvolgono ormai oltre un milione di persone anche in Italia, con margini di crescita di tutto rispetto. La cosa interessante è che questi lavori non sono solo tecnici, anche se alcuni richiedono una buona preparazione scientifica, ma spesso è la capacità di combinare più skills che fa la differenza.
Un esempio? Un giovane operatore ambientale che lavora in un’area marina protetta oggi deve saper dialogare con turisti, pescatori, ricercatori, amministrazioni locali, deve anche saper interpretare dati e spiegare le biodiversità in modo semplice. In pratica, una figura ibrida, empatica e attenta. E ne servono tante.
Secondo Unioncamere, nel triennio 2020-2023 la crescita dell’occupazione nella Blue Economy è stata del 9,4%, quasi tripla rispetto alla media nazionale (3,7%). Eppure le imprese fanno fatica a trovare personale qualificato. Non per mancanza di giovani, ma perché le competenze richieste sono nuove e la formazione fatica a stare al passo. È qui che si gioca una partita decisiva per il futuro di queste professioni, occorre aggiornare i percorsi scolastici, creare sinergie tra scuole, università e imprese.
I percorsi di studio spesso non sono aggiornati o troppo disomogenei. Servirebbe un Piano nazionale dei mestieri del mare, che punti sui programmi europei, a partire dal Green Deal, passando per Horizon Europe, il più grande programma Ue per la ricerca e l’innovazione, per finanziare progetti e favorire la collaborazione tra università, imprese e istituzioni pubbliche, senza dimenticare il programma BlueInvest, un’iniziativa della Commissione europea che sostiene le Pmi innovative e le start-up della Blue Economy.
Ma nello specifico delle varie filiere come si inseriscono le nuove professioni? Il boom della cantieristica green ne è un esempio: da Genova a Taranto si progettano e costruiscono imbarcazioni ibride, piattaforme modulari galleggianti, sistemi di propulsione a basso impatto ambientale. Nascono mestieri e servono figure professionali come il designer nautico specializzato in sostenibilità, il tecnico di bordo per impianti fotovoltaici marini, l’esperto in idrodinamica digitale o l’ingegnere ambientale costiero.
Anche il turismo sta cambiando volto e c’è più interesse per vacanze esperienziali, autentiche, legate alla natura. Ecco che nascono le guide ecoturistiche marine, gli istruttori subacquei che fanno educazione ambientale, o i manager della sostenibilità per piccoli hotel nelle aree protette. Le imprese del settore turistico cercano marine ecotour guide, istruttori subacquei certificati per il monitoraggio dei fondali, manager della sostenibilità per strutture ricettive in aree protette, educatori ambientali marini.
Uno dei settori con maggiore potenziale è quello della blue biotech: lo studio delle risorse biologiche marine per sviluppare farmaci, integratori, biomateriali e perfino cosmetici. Qui lavorano biologi marini, ricercatori in genomica applicata, tecnici di laboratorio specializzati in estrazione di principi attivi da microalghe. In Italia sono già attivi poli di eccellenza in Sardegna, Veneto e Toscana.
Non manca poi il fronte della digitalizazione dei porti, dove servono figure come gli analisti di dati portuali, esperti in cybersecurity logistica, sviluppatori di modelli digitali per simulare i flussi , che stanno rivoluzionando la logistica di merci e passeggeri, in un’ottica sempre più green e integrata.
Il mare, in fondo, è sempre stato un luogo di lavoro. Solo che oggi i mestieri che offre sono cambiati, alcuni esistono da sempre ma si stanno evolvendo, altri sono completamente nuovi. E tutti, in un modo o nell’altro, parlano di future, di sostenibilità, di adattamento, di innovazione. Una cosa, però, è certa: il mare può dare molto di più di quello che immaginiamo, perché innovare non vuol dire solo inventarsi un’app: a volte, vuol dire rimettere al centro qualcosa di antico come il Mediterraneo, e farlo diventare una risorsa per il futuro.
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