La borsa australiana continua a macinare nuovi massimi storici, dimostrando una notevole forza relativa nei confronti dell’indice Msci World. L’impressione è che questa tendenza positiva possa continuare, anche se la lentezza con la quale proseguono i negoziati tra Usa e Cina, che dell’Australia è un importante partner commerciale, rischia di influenzare negativamente l’andamento futuro di tutta l’area asiatica.
Il Fondo monetario internazionale recentemente ha rivisto le previsioni sulla crescita globale per il 2019 abbassandole dello 0,1% al 3,2%, il valore più basso dal 2009 (la revisione rispetto alle stime di ottobre 2018 è negativa dello 0,5%). Nel 2020 il Pil globale dovrebbe invece crescere del 3,5% (dal 3,6% stimato ad aprile), il rimbalzo è considerato dallo stesso Fondo “incerto”.
Il Fmi non ha prodotto stime specifiche per l’Australia, ma lo ha fatto per i suoi maggiori partner commerciali, inclusi a Cina e il Giappone, segnalando rischi di rallentamento dovuti per lo più allo stallo delle trattative tra Usa e Cina in merito alla circolazione delle merci. La crescita di Pechino è stata rivista al ribasso dello 0,1% a +6,2% per quest’anno e per il prossimo.
L’Australia sembra comunque determinata a non fare rallentare la propria economia. La Reserve Bank of Australia (Rba) ha infatti tagliato a inizio luglio i tassi d’interesse di 25 punti base portandoli sui nuovi minimi storici dell’1%, dopo avere fatto altrettanto nel meeting di giugno (la precedente riduzione, sempre di 25 punti base, risaliva all’agosto 2016). La decisione era ampiamente prevista, dopo che in maggio il governatore Philip Lowe aveva dichiarato che l’inflazione verosimilmente sarebbe rimasta sotto al target della Rba compreso tra il 2% e il 3% annuo e che un taglio del costo del denaro sarebbe stato probabilmente appropriato. “È ragionevole aspettarsi un lungo periodo di tassi di interesse bassi”, aveva aggiunto Lowe nella stessa occasione. “Ci vorrà un po’ di tempo prima che l’inflazione rientri nell’intervallo stabilito tra il 2 e il 3 percento”.
Il governatore ha affermato che i due interventi sui tassi sosterranno la domanda. In aggiunta, anche le recenti riduzioni fiscali, i prezzi delle materie prime più elevati, una certa stabilizzazione nel mercato immobiliare, gli investimenti in corso nelle infrastrutture e un aumento degli investimenti nel settore delle risorse sosterranno l’economia, ha poi osservato. La banca centrale si aspetta che questi fattori, insieme ai tagli dei tassi, mettano sotto pressione la capacità di offerta dell’economia e sollevino l’inflazione in un lasso di tempo ragionevole. Tuttavia, lo stesso Lowe ha affermato che anche altri ambiti della politica pubblica dovrebbero attivarsi per portare l’inflazione all’obiettivo e sostenere la crescita economica.
Queste misure sembrano avere successo. Nel secondo trimestre si è infatti registrato un netto recupero per la fiducia delle imprese in Australia. L’indice Nab Quarterly Business Confidence è salito nei tre mesi fino allo scorso 30 giugno a 6 punti dagli zero punti del precedente periodo. L’indice relativo alle condizioni di business attuali è invece calato a 1 punto dai 3 del primo trimestre.
Anche sul piano degli scambi le cose sembrano andare bene. Secondo quanto reso noto dal Bureau of Statistics di Canberra, in maggio la bilancia commerciale dell’Australia si è attestata su base rettificata stagionalmente su un surplus di 5,74 miliardi di dollari australiani, contro i 4,87 miliardi di aprile (4,88 miliardi in marzo) e i 5,25 miliardi del consensus. Il dato, che si attesta sul record storico, è stato sostenuto quasi interamente dalle esportazioni di minerale di ferro in Cina (cresciute di 1 miliardo). In maggio l’export dall’Australia è aumentato del 4% sequenziale, contro il rialzo del 2% di marzo e aprile. Le importazioni sono invece salite dell’1% contro il precedente incremento del 3% (2% la flessione di marzo).
Non tutto però a onor del vero va per il verso giusto. A luglio il Pmi manifatturiero (calcolato da CBA e Markit) è sceso a 51,4 punti dai 52 punti di giugno, mentre il Pmi dei servizi si è portato a 51,9 punti, dai 52,6 punti precedenti. Il Pmi Composite si è attestato a 51,8 punti, meno dei 52,5 punti di giugno. I dati mostrano un rallentamento della crescita dell’attività economica e dei nuovi ordinativi all’inizio del terzo trimestre dell’anno, con le letture che si mantengono comunque al di sopra della soglia dei 50 punti, quella che separa uno scenario espansivo da uno di contrazione.
L’indice della borsa australiana, l’Australian Stock Exchange All Ordinaries Index (AS30), ha superato come già accennato proprio nelle ultime sedute i precedenti massimi storici del novembre 2007 a 6873,20 dollari spingendosi fino a quota 6959 circa. La sua correlazione con la borsa mondiale, rappresentata dall’indice Msci World in dollari Usa, è molto elevata, l’indice di correlazione calcolato a 252 sedute infatti viaggia ormai da più di due anni costantemente in prossimità di area 0,7/08 (attualmente addirittura a 0,85), molto vicino quindi al valore massimo teorico di 1, che indica correlazione perfetta.
Questa similitudine non stupisce, l’Australia ha un’economia essenzialmente ciclica, fortemente condizionata dall’andamento delle esportazioni di materie prime, ed è quindi legata a doppio filo con le oscillazioni della borsa mondiale, per la quale, è bene ricordarlo, il peso maggiore è dato da quella Usa. Con le dovute cautele, derivanti dal fatto che le semplificazioni tendono sempre a perdere di accuratezza, è quindi possibile dire che il successo o l’insuccesso dell’indice azionario di Sydney dipende dall’andamento in prospettiva dell’economia mondiale: è quindi un indicatore non solo dello stato di salute di quel mercato, ma anche della situazione generale.
Il raggiungimento di nuovi massimi storici dovrebbe quindi essere salutato con favore da parte degli investitori, a patto ovviamente che questo successo risulti confermato nel prossimo futuro. Se invece le quotazioni dovessero invertire la marcia senza essere riuscite ad allontanarsi dall’area critica dei 6850/6900 punti, inizierebbe a montare il dubbio che la rottura dei massimi del 2007 sia stata una “bull trap”, una classica trappola per tori, un falso segnale di forza al quale di norma fanno seguito movimenti estesi in direzione opposta. Un elemento di preoccupazione effettivamente esiste: osservando il grafico è infatti possibile notare come la velocità di crescita del periodo dal 2009 al 2019 sia stata nettamente inferiore rispetto a quella del ribasso del periodo dal 2007 al 2009 (quasi 10 anni per recuperare quanto lasciato sul terreno in poco più di un anno).
Questa differenza di velocità tra i due momenti costringe a considerare ancora come possibile l’ipotesi che il rialzo dai minimi del 2009 non sia una tendenza autonoma, ma faccia invece parte di una struttura correttiva complessa nata nel 2009 alla quale mancherebbe ancora una fase di ribasso, prolungata, per completarsi. Gli studiosi dei grafici sanno del resto che spesso le fasi di correzione, che interrompono cioè una tendenza precedente, in questo caso il rialzo dai minimi del 1994/95, si sviluppano in tre segmenti e in molte occasioni hanno uno sviluppo orizzontale, motivo per cui vengono chiamate “flat”.
Questa ipotesi, rispetto a quella che vede il rialzo proseguire indisturbato, è da considerare per il momento la meno accreditata, ma purtroppo, fino a che le quotazioni resteranno in prossimità dei minimi del 2007 non potrà essere accantonata. Già la violazione a 6745 della media esponenziale a 10 settimane farebbe aumentare i dubbi sulla capacità del rialzo di proseguire, sotto i massimi di agosto 2018 a 6480 circa diverrebbe poi probabile una discesa almeno fino a testare in area 5625 la linea che sale dai minimi di marzo 2009. È evidente che, dato l’elevato grado di correlazione con la borsa mondiale, un0evoluzione di questo tipo da parte dell’indice All Ordinaries Index sarebbe con buona probabilità lo specchio di evidenti difficoltà anche per gli altri mercati azionari.
Buone notizie verrebbero invece al superamento di area 7000, soprattutto se confermato almeno da una chiusura di settimana oltre quei livelli. Alla rottura dei 7000 punti il primo target si sposterebbe in area 7300, sul lato alto del canale formato a partire dalla citata trend line che parte dai minimi del 2009 (la parallela a questa tracciata dal top del 2010). Sopra i 7300 punti diverrebbero credibili obiettivi anche molto lontani da questi livelli, fino in area 8900 dollari.