La finale del mondiale per club termina con un lampante e poco discutibile 4 a 0 in favore del Barcellona che più che umiliare impartisce lezioni di calcio al suo avversario Santos. Messi offre ancora un grande spettacolo, ed è proprio lui ad aprire le danze dopo una ventina di minuti con uno strepitoso pallonetto, servito alla perfezione da Xavi che sigla tra l’altro la seconda rete per i blaugrana, dopo un traversone basso messo in mezzo da Dani Alves. Il Santos costruisce la prima vera azione al minuto 27, con Borges che lascia partire un tiro che si blocca su Valdes, mentre il Barcellona non ci pensa due volte e realizza la terza rete, questa volta con Fabregas che dopo un’azione confusa in area fatta di rimpalli e carambole non può fallire il comodo tap-in. Anche andando a guardare qualche statistiche, appare evidente che la partita è stata a senso unico per i complessivi 90 minuti, con i catalani che hanno fatto tanto tiki-taka quanto le azioni da gol create: in poche parole se 4 sono stati i gol, altrettanti potevano esserne segnati dai blaugrana. I numeri parlano chiaro: il doppio dei tiri (16 contro 8), il triplo in porta (9 contro 3). I brasiliani non possono farci niente contro i loro avversari, sono semplicemente troppo extra tanto è vero che il possesso palla è del 71% per gli alieni e solo del 29% per gli umani. Detto questo è necessario notare che la squadra di Ramalho ci ha messo del suo a offrire ai tifosi questa becera prestazione. Mi spiego meglio: i difensori scendono in campo con una spensieratezza inconcepibile per una finale mondiale ed infatti i primi due gol del Barca sono sopratutto colpa della coppia di stopper Dracena e Bruno Rodrigo; il centrocampo probabilmente è una zona del campo che i verde oro non conoscono a differenza di Guardiola che rimpinza la sua squadra di ben cinque centrocampisti ed i risultati si vedono. Con queste premesse è facile prevedere i risultati, da una parte occasioni a raffica (ben due pali colpiti da Fabregas e Dani Alves), dall’altra ci si emoziona se Neymar tocca palla, anche se bastano pochi secondi per uscire dall’illusione che, il così detto baby fenomeno, possa creare qualcosa di interessante.