“La vita a volte è ingiusta”. E’ il tweet di Federica Pellegrini, l’estremo saluto a Camille Muffat accompagnato da una foto che le ritraeva entrambe a bordo piscina. Perchè sì, a volte la vita può sembrare ingiusta; e perchè sì, si può essere rivali nello sport senza per questo aver maturato sentimenti di rispetto e magari anche amicizia, e non c’è bisogno di srotolare la retorica. La notizia che ci ha accolti al risveglio questa mattina è terribile. Della morte di Camille Muffat, Florence Arthaurd e Alexis Vastine, degli altri sette passeggeri degli elicotteri in Argentina, della cronaca spiccia e a volte troppo fredda, si è già parlato (lo abbiamo ovviamente fatto anche noi). Si parlerà, e lo si farà ancora; per accertare se ci sia stata responsabilità, qualche guasto, se si sarebbe potuto evitare. E’ giusto che sia così; ma per il grande dolore e la grande domanda che si trascina inevitabilmente dietro, qualunque tipo di prova scientifica e tentativo di ricostruzione risulterebbe vano. Sta tutto, o comunque tanto, nelle parole che molti francesi e non solo hanno usato sui social network nell’apprendere la notizia. “Senza parole”. Appunto; perchè se anche le parole ci fossero, sarebbe sbagliato ridurle a una guerra di tweet. E allora, in questo giorno triste per tutta la Francia, il mondo dello sport e non solo, vogliamo ricordare il capolavoro di Camille Muffat nella finale olimpica dei 400 stile libero; in testa dall’inizio alla fine, rintuzzando gli attacchi di Allison Schmitt e Rebecca Adlington fino a centrare il record dei Giochi. E quel tifoso in tribuna che urlava come un pazzo, bandiera in mano e faccia pitturata. A ricordarci che lo sport, per noi che lo vediamo “da fuori”, è soprattutto questo: è emozione e rabbia, è speranza e delusione, è identificazione con i nostri idoli e, perchè no, “antipatia” nei confronti degli avversari. Non c’è dunque da stupirsi se la Francia è sotto shock; la Muffat aveva deciso di ritirarsi la scorsa estate, seguendo i passi della connazionale Laure Manaudou, ma per almeno cinque anni era stata la faccia vincente e dominante nel nuoto femminile, una campionessa brillante che andava fortissimo. Come Florence Arthaud, che venticinque anni fa – ancora lontana dal mondo dei selfie, della notizia in tempo reale sugli smartphone di tutto il mondo – vinceva un’impressionante Route du Rhum, una manifestazione che non ti metti nemmeno a fare se non hai qualcosa dentro che ti spinge oltre i limiti. E come Alexis Vastine, capace di inserirsi nelle gerarchie dominicano-cubane del pugliato e vincere uno splendido bronzo olimpico. Se ne sono andati in Argentina, durante le riprese di un reality show; ad altri il compito di capire come sia potuto accadere quello scontro in volo, a noi il saluto a tre grandi sportivi. Ci mancheranno.
(Claudio Franceschini)