E’ andato in archivio quasi in sordina il nuoto olimpico, che come da copione riempie il programma della prima settimana dei Giochi; ma anche quest’anno ci ha regalato storie non indifferenti, da tramandare ai posteri. L’Aquatic Center di Londra, tanto per cominciare, è stato testimone delle ultime gare in carriera di Michael Phelps, il cannibale da Baltimora, forse il più grande nuotatore di tutti i tempi: Larysa Latynina, la ginnasta russa, era in tribuna con tanto di tuta olimpica della nazionale quando il Kid le ha cancellato il record di medaglie vinte ai Giochi. Poco importa che Le Clos lo abbia beffato sulla piastra d’arrivo dei 200 farfalla, e forse in pochi si ricorderanno dell’esordio nei 400 misti, quando ha mancato addirittura il podio: nella mente rimarranno le 22 medaglie, di cui 18 d’oro, conquistate tra Atene 2004 e Londra 2012. Anche in questa edizione sono state 6 (4 ori, due argenti), a dimostrazione che il più grande è stato ancora lui. Non più, però, perchè il ritiro era annunciato da tempo. “Dei miei avversari, mi mancherà soprattutto Ryan Lochte: i suoi risultati mi hanno spinto a cercare di migliorarmi”. Già, ma Lochte, che era atteso a Londra come il vero dominatore del nuoto, ha semi-fallito: difficile dire così di uno che si porta a casa 5 medaglie (due ori, un argento, due bronzi), ma sostanzialmente ha preso schiaffi a destra a sinistra e questo non è mai bello quando tutti dicono che il nuovo fenomeno sei tu. Meno male che gli Stati Uniti hanno coperto le sue indecisioni: 16 ori e 30 medaglie complessive, una dimostrazione di schiacciante superiorità. Merito della cura degli allenamenti e delle politiche universitarie, per cui lo sport è sacro e gli atleti si contendono come fossero dei premi Nobel: la summa di tutto ciò è stato quando in vasca si sono tuffate le ragazze della 4×100 mista. Missy Franklin a dorso, oro individuale (e oro con record del mondo nei 200); Rebecca Soni a rana, argento individuale (e oro con record del mondo nei 200, dopo aver già vinto a Pechino); Dana Vollmer a farfalla, oro individuale con record del mondo; e Allison Schmitt a stile libero, oro individuale con record olimpico nei 200 e argento nei 400. Che dominassero timbrando il nuovo primato mondiale era cosa più che scontata, a stupire se mai è la tranquillità con cui hanno mangiato in testa agli avversari: “E’ stato uno spasso”, ha detto la Schmitt. “Siamo le più forti singolarmente, dovevamo solo metterci insieme e nuotare”, il pensiero di Dana Vollmer. “Non mi sono mai divertita tanto: nessuna tensione, in camera di chiamata ridevamo”, ha chiuso Rebecca Soni. E giù bastonate in vasca. Ma è stata anche l’Olimpiade della Francia: 7 medaglie, di cui 4 d’oro, merito di Camille Muffat (annunciata e consacratasi: prima nei 400 stile, seconda nei 200) e di Yannick Agnel, che ha rimontato mezza vasca di svantaggio a Ryan Lochte per un clamoroso oro nella 4×100 stile libero e poi si è ripetuto nei 200 individuali. Non è stata una grande Olimpiade per l’Australia: i tempi dei tre ori di Stephanie Rice e del velocissimo Eamon Sullivan sono finiti, anche se Alicia Coutts ha vinto quattro medaglie e la 4×100 al femminile si è presa un sorprendente oro. Sono stati i Giochi della conferma per Yang Sun, oro nei 400 misti e record del mondo (che gli apparteneva) abbattuto nei 1.500. E’ stata la settimana in cui i tempi record con i costumoni in poliuretano hanno cominciato a cadere. Poi c’è stato il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo: idealmente, qui sono finite tante storie e ne sono nate altre. Florent Manaudou, il fratello di Laure, ha vinto i 50 stile libero (sorprendendo tutti) proprio nel giorno in cui la sorella veniva elmiinata in batteria, forse ponendo fine alla carriera ricca di successi. Katie Ledecky, 15 anni, si è presa gli 800, beffando Rebecca Adlington e tutta la Gran Bretagna; Nathan Adrian si è stagliato tra i super velocisti dei 100 stile e ha toccato prima di tutti, lo stesso ha fatto Tom Clary a dorso, battendo Ryan Lochte. Ye Shiwen ha sbriciolato le avversarie nei 200 e 400 misti facendo sorgere sospetti sulle sostanze assunte (va detto che finora i controlli non hanno evidenziato nulla di illegale). Ranomi Kromowidjodjo, il cui cognome (per non dire dei lineamenti) tradisce le origini indonesiane, ha fatto doppietta allo sprint: 50 e 100, con doppio record olimpico sulla scia del suo idolo Inge De Bruijn che fece l’impresa nel 2000 (e quattro anni dopo la sfiorò). Il carattere ce l’ha: dopo le gare oltre alla felicità c’era anche la fame di vittorie:
“Peccato per i tempi, e mi dispiace per la staffetta: ero venuta qui per vincere tre ori”. Già, perchè nella 4×100 stile libero non è riuscita a regalare l’oro nella 4×100 stile libero all’Olanda, pur avendo nuotato un’ultima frazione mostruosa (ma il record del mondo è salvo). Tra tutte le storie andate in scena a Londra, ne scegliamo una in particolare, e ci scuseranno tutti gli altri: Ruta Meilutyte, 15 anni, non era nessuno quando ha messo piede per la prima volta all’Aquatic Center. Ora della finale dei 200 rana aveva timbrato il record europeo (in semifinale) e per lei era arrivata da Vilnius la presidentessa della Lituania. E’ finita che Ruta si è presa l’oro olimpico, che è anche la prima, storica medaglia nel nuoto per il Paese Baltico. Beffata Rebecca Soni, la cui letale progressione nell’ultimo 50 nulla ha potuto contro questa ragazzina bionda che sul podio si è presentata in lacrime e con le gambe che le tremavano. Il giorno dopo era già una star, e gli inglesi, siccome si allena a Plymouth da due anni e mezzo, le hanno chiesto cosa voglia fare della sua nazionalità. “Non se ne parla”, ha risposto Ruta, “sono fiera di gareggiare per la Lituania”. E tanti saluti al mondo british. In tutto questo, spicca l’Italia, ma in negativo: era da 28 anni che gli azzurri del nuoto non tornavano a casa con zero medaglie. Federica Pellegrini ha coronato un’annata mediocre con due quinti posti (brucia quello dei 200), Filippo Magnini è andato out in semifinale e ha sbraitato contro tutto e tutti salvo poi ritrattare, Fabio Scozzoli è giunto settimo senza mai aver visto il podio con il binocolo; non si poteva certo chiedere agli esordienti, leggi Gregorio Paltrinieri, una comunque positiva Arianna Barbieri e una fantastica Ilaria Bianchi (quinta in una finale che non avrebbe dovuto centrare) di salvare la baracca. Le code polemiche con cui si è chiuso il tutto sono la ciliegina sulla torta di una spedizione fallimentare, ed è giusto usare un termine così pesante: a livello sportivo non abbiamo centrato l’obiettivo, dunque si è trattato di una delusione. Bisogna semplicemente rimboccarsi le maniche e tornare a lavorare, senza cercare di scaricare il barile su terzi ma consapevoli che se abbiamo fatto così male evidentemente c’è qualcosa che non va. Da qui a Rio la strada è lunga e passa attraverso Mondiali ed Europei: c’è tutto il tempo di recuperare le vasche perdute.
(Claudio Franceschini)