Uno studio ha dimostrato l'efficacia dell'uso di un batterio ingegnerizzato per combattere i calcoli renali, ma la tecnica deve essere affinata

Un recente studio sembra aver confermato che grazie all’uso di batteria ingegnerizzati si potrebbe riuscire – pur parzialmente – a trattare in modo poco invasivo i calcoli renali, riducendo gli effetti collaterali ben noti delle terapie tradizionali (per così dire) semplicemente sfruttando il cosiddetto microbioma intestinale che tutti noi possediamo e che è notoriamente associato – ragione per cui una dieta equilibrata è importante – alla salute dell’intero organismo umano.



L’idea alla base dello studio – pubblicato sulla prestigiosa rivista Science – era quella di utilizzare un batterio per ridurre l’ossalato alla base (tra le altre cose) dei calcoli renali: dato che l’idea di introdurre un nuovo batterio avrebbe comportato potenziali rischi peggiori rispetto a quelli associati ai calcoli renali, si è optato per uno già presente nell’intestino umano, ovvero il Phocaeicola vulgatus.



Di per sé il Phocaeicola vulgatus non è in grado di scomporre l’ossalato, è stato necessario ingegnerizzarlo per conferirgli questa capacità e al contempo è stato reso anche dipendente dal consumo di porfirano, ovvero un nutriente naturalmente presente nelle alghe e del tutto assente dal corpo umano: la ragione è legata al controllo della presenza del batterio nell’intestino, in modo da poterlo rimuovere dopo il (potenziale) trattamento per i calcoli renali.

Lo studio sul batterio ingegnerizzato per combattere i calcoli renali: i risultati sono promettenti, ma restano alcune criticità da risolvere

Venendo a noi, ottenuto il Phocaeicola vulgatus ingegnerizzato, i ricercatori sono passati al vero e proprio trattamento per i calcoli renali: il primo step dello studio è stato condotto su modelli murini inizialmente sani, dimostrando che non comprometteva alcuna funzione corporea e al contempo che il controllo tramite porfirano funzionava per ridurre la popolazione intestinale del batterio; mentre in un secondo momento ad alcuni topi sono stati indotti i calcoli renali e dall’analisi delle urine si è confermato che il batterio riusciva a ridurre quasi completamente la presenza di ossalato.



Ricercatori in laboratorio (Foto: Pexels)

Dai modelli animali, i ricercatori sono – poi – passati ai primi test su volontari umani: i soggetti sani sono riusciti a convivere senza problemi con il batterio ingegnerizzato e a eliminarlo in seguito alla riduzione di porfirano nel loro intestino; mentre i soggetti umani affetti da calcoli renali hanno confermato i risultati già ottenuti sui topi, pur con una riduzione nettamente inferiore dell’ossalato riscontrato nelle urine.

I risultati dello studio sui calcoli renali, insomma, sono complessivamente positivi, ma sono gli stessi ricercatori a mettere in luce alcune criticità: in primo luogo 2 dei 39 soggetti sani hanno avuto difficoltà a eliminare completamente la popolazione del batterio anche dopo l’uso di antibiotici, ma senza scompensi alla salute; mentre in secondo luogo, nei soggetti malati i batteri sono riusciti parzialmente a mutare adattandosi all’intestino con una riduzione dell’efficacia del trattamento.