Il demografo Alessandro Rosina sul calo di volontari certificato dall'Istat: "Giovani non sono meno generosi. Ci sono, ma vogliono libertà". Quello che serve? In primis flessibilità

Il calo del numero di volontari non è la prova che l’impegno civico è finito, ma che il volontariato sta cambiando forma. Questa la tesi di Alessandro Rosina, docente di Economia all’Università Cattolica di Milano, demografo ed esperto di giovani e politiche giovanili. «Il crollo del numero dei volontari certificato dall’Istat non è necessariamente una brutta notizia. Basta guardare all’enorme mobilitazione, in particolare di giovani, per aiutare la popolazione alluvionata in Emilia Romagna. La voglia di impegnarsi c’è, basta saperla interpretare», spiega al Corriere della Sera. Dunque, è sbagliato parlare di fuga di volontari, perché non è una fuga dall’impegno civico. «I dati sul calo riguardano le realtà del non profit». Ciò da cui fuggono, in realtà, i giovani è «un tipo di impegno che richiede eccessiva dedizione, costanza e soprattutto senso di appartenenza. I giovani non hanno bisogno di appartenenza, ma di esperienze. Vogliono fare quelle che abbiano valore per loro e che non comprimano la propria libertà di azione».



Per Rosina bisogna accettare il fatto che la scelta dell’impegno sociale non viene più fatta a scatola chiusa. L’esperto suggerisce alle organizzazioni di mettersi in discussione, di non essere “conservative”, ma di «farsi contaminare da modi di pensare diversi, che possono tornare ad essere attrattive». Anche se non è semplice, per Alessandro Rosina non ci sono molte alternative, quindi è questa la strada da intraprendere. Non va messa in discussione l’importanza delle organizzazioni, ma queste devono «porsi in sintonia con una realtà che muta e che esige maggiore flessibilità rispetto alle esperienze che i giovani vogliono fare».



“GIOVANI VOGLIONO ESSERE PROTAGONISTI ATTIVI E POSITIVI”

La soluzione è nel punto di equilibrio da trovare tra l’esigenza di restare forti e l’apertura al cambiamento, che vuol dire anche lanciare attività nuove in modalità più attrattive per le nuove generazioni. Una cosa è certa per il demografo Alessandro Rosina: i giovani di oggi non sono affatto meno generosi e solidali. «Tutt’altro. La domanda di partecipazione non è mutata, vogliono essere più che mai protagonisti positivi e soggetti attivi della realtà», assicura nell’intervista al Corriere. A conferma di ciò, spiega che «è cresciuta la voglia di dare un contributo e di contare, non solo nella dimensione personale, ma anche collettiva. Prima i giovani pensavano e agivano in modo più individualistico, oggi c’è una gran voglia di rispondere e agire assieme». La conferma arriva anche da quei giovani che piantano le tende davanti agli atenei: vogliono che il sistema cambi, non la loro singola condizione. Dunque, c’è anche una visione sbagliata dei giovani, resi più fragili dalla pandemia, ma anche «desiderosi di essere liberi». Avendo perso occasioni e tempo, ora «non sono più disposti a conformarsi alle aspettative esterne, ma la voglia di stare in relazione con gli altri è cresciuta. È più difficile ingaggiarli, ma le associazioni devono aiutarli a superare le fragilità e a sviluppare le loro potenzialità». Dal volontariato informale si può partire per rafforzare l’impegno e far sperimentare ai giovani nuove strade. «Se vedono che aiutando gli altri migliorano la realtà, e anche loro stessi, allora è molto più probabile che si inseriscano in esperienze maggiormente strutturate e continuative», aggiunge Alessandro Rosina. Peraltro, si tratta di dinamiche che riguardano anche gli adulti. Chi sta entrando nella fase post-lavorativa, infatti, rappresenta «una grande risorsa per il volontariato, ma l’impegno deve conciliarsi con le altre dimensioni della vita».

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