Macron è il responsabile ultimo delle proteste in Francia e dell’ingovernabilità del Paese. Ieri ha fatto il suo debutto il movimento "Blocchiamo tutto"
197mila partecipanti secondo il ministero dell’Interno, 250mila secondo la CGT, 596 assembramenti, 540 arresti e 415 fermi di polizia. È questo il bilancio del “Bloquons tout”, la manifestazione di protesta contro il presidente Macron, demiurgo degli ultimi governi, che dopo la sfiducia a Bayrou, per tutta risposta, ha già incaricato il fedelissimo Sébastien Lecornu di formare il prossimo governo.
La crisi sempre più profonda che attanaglia la Francia ha subito una decisa accelerazione dopo le elezioni europee del 2024, quando Macron decise lo scioglimento “punitivo” dell’Assemblea contro il RN di Marine Le Pen e Jordan Bardella, premiato dal 31,37% dei consensi. È stato l’inizio di una serie di manovre politiche spregiudicate con le quali il presidente francese ha preteso di plasmare le maggioranze e ha imposto i suoi primi ministri, con l’obiettivo di escludere la destra lepenista dal governo.
Il punto di Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Pegaso e docente alla Luiss di Roma.
La Francia è oggi ingovernabile a causa della sua Costituzione ormai inadeguata o per le scelte del presidente?
In primo luogo a causa delle scelte del suo presidente. Macron, e lo ha messo bene in evidenza Giovanni Orsina sul Riformista, forse anche per la sua estrazione tecnocratica ed elitaria ha ignorato gli assi portanti della Costituzione.
In che modo?
Ha avuto un ruolo determinante nel partecipare, per usare le parole di Guillaume Drago ieri su Le Figaro, al “crimine costituzionale” consistente nel non far funzionare i meccanismi che la Costituzione appronta per risolvere le crisi politiche.
Ci spieghi bene questo punto, per favore.
Nel sistema francese il Governo si regge sulla fiducia presidenziale espressa con la nomina del primo ministro, che a sua volta fonda la presunzione di fiducia dell’Assemblea nazionale: presunzione, come si dice in gergo, iuris tantum, perché può essere smentita da un voto di sfiducia. Ora, Macron, dal 2022 – anno della sua rielezione – ha nominato ben quattro primi ministri e Bayrou addirittura dopo uno scioglimento dell’Assemblea e all’esito di una lunghissima fase di stallo. Il problema però, e le vicende dello scorso anno lo dimostrano con chiarezza, non è stato determinato dalla carenza di indicazioni provenienti dai risultati elettorali circa l’aggregazione di una maggioranza parlamentare, quanto piuttosto dalla volontà presidenziale di escluderne le formazioni politiche di destra.
Insomma, il responso delle urne è stato chiaro, ma Macron ha voluto escludere il Rassemblement National dal potere.
Precisamente. Non solo: il tasso di spregiudicatezza di queste manovre ad excludendum risalta con maggior evidenza se si considera che sono state eseguite da un Presidente non più eleggibile e quindi non sottoposto al rendiconto elettorale.
E dire che secondo Bayrou, questa la sostanza del suo discorso, la responsabilità va attribuita agli elettori.

È una convinzione grave, perché sottintende che la democrazia impedirebbe di fare il bene della nazione. È vero l’opposto. Non si tratta di crisi della democrazia, sono invece i risultati paradossali della frustrazione della volontà popolare e della frammentazione dell’elettorato, tipiche della cosiddetta “post-democrazia”. Di più, la crisi francese è l’esito della sostituzione della tecnocrazia alla politica, come ha ben rilevato Orsina, e della progressiva de-statalizzazione del circuito decisionale politico.
A vantaggio di chi o di che cosa?
A favore di una sovranazionalità incerta, priva di struttura politicamente significativa di raccordo e di corrispondenza con le collettività nazionali.
Quali sono le conseguenze di questo processo?
Esso ha causato a sua volta un effetto di dispersione del potere statale e di riallocazione delle funzioni tra i diversi organi, con progressiva preminenza di quelli cosiddetti “neutrali”, ossia banche centrali, autorità amministrative e ordine giudiziario. È comprensibile allora che emergano sintomi di resistenza, che è una delle forme di espressione della sovranità popolare, l’ultima disponibile quando le altre siano prive di efficacia.
“Sintomi di resistenza” significa anche manifestazioni popolari di piazza?
In Francia, e in generale nelle democrazie, significa anche questo, soprattutto nel momento in cui la volontà dichiarata è quella di “bloccare”: un caso di esercizio del cosiddetto potere negativo.
Torniamo al nostro punto di partenza, la Costituzione della Quinta Repubblica.
In questa situazione, la Costituzione del 1958 mostra qualche limite di imprevisione di fenomeni ostruttivi o distorsivi da parte degli apparati istituzionali, soprattutto di massimo livello, che possono indurre una trasformazione degenerativa della forma di governo.
Insomma, nel 1958 l’ipotesi di un presidente come Macron non era contemplata. Soluzioni?
I guasti prodotti da tali imprevisioni, che negli ultimi tempi si sono resi sempre più evidenti, suggerirebbero l’adozione di opportuni rimedi, prima che si producano altri guasti con conseguenze di rottura del sistema costituzionale.
(Federico Ferraù)
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