Petrolio e gas bloccati. In Libia la protesta di un collettivo di notabili del Fezzan, a Sud del Paese, induce la NOC, l’ente petrolifero nazionale, a dichiarare lo stato di forza maggiore per il giacimento di Sharara, il più importante della nazione, che resta chiuso. L’interlocutore è il governo di Tripoli, al quale si chiede un intervento in favore della popolazione che risiede nella zona. Mentre relativamente all’impianto del gas di Mellitah i manifestanti del movimento “No corruption” avrebbero minacciato di chiudere il sito, impedendo l’afflusso del gas in Italia, se non verrà presa in considerazione la destituzione del presidente della National Oil Corporation.
Due situazioni che riguardano anche gli interessi dell’ENI e dell’Italia, anche se non dovrebbero comportare problemi di approvvigionamento sul breve periodo. Resta, comunque, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver, il problema della gestione della situazione a lungo termine, per salvaguardare gli investimenti italiani fatti in loco. Si tratta di proteste pericolose, che potenzialmente possono avere un effetto domino, arrivando quindi a destabilizzare ulteriormente un Paese già frammentato, ma che a volte vengono anche strumentalizzate politicamente. Spesso nascono, però, dalle lamentele di popolazioni locali che chiedono sicurezza per i loro villaggi e una presenza dello Stato che ormai da anni non si occupa della manutenzione delle strade o delle infrastrutture. Il segno di un Paese diviso che dopo Gheddafi non riesce a trovare una parvenza di unità, ma in cui prevalgono le spinte tribali.
Qual è il senso delle proteste nate in Libia riguardo a impianti per il petrolio e per il gas?
Non è la prima volta che si parla di giacimenti bloccati o di manifestazioni che culminano con il blocco degli impianti. La popolazione, esasperata da condizioni di vita sempre più difficili, minaccia il blocco per esercitare una pressione politica e rivendicare una migliore redistribuzione dei proventi del gas e del petrolio. Un po’ come dire: “Da qui il gas o il petrolio non partono finché i proventi non arrivano anche a noi”. Puntualmente quando si inscenano queste manifestazioni, si prendono di mira i giacimenti più importanti. Sharara è uno di questi ed è collegato al giacimento di El Feel, che è dell’ENI.
I due episodi, quello relativo al petrolio e quello che riguarda il gas, sono collegati?
Sì. Ogni giacimento è un elemento di pressione verso il governo di Tripoli e verso i governi che li detengono. Quando un gruppo di manifestanti prendere di mira un giacimento è probabile che un altro gruppo faccia lo stesso in un altro. Il complesso gasiero di Mellitah, tra l’altro, è gestito al 50% dall’ENI e dalla NOC.
Quest’ultima protesta, quella di Mellitah, annunciata in un secondo momento, potrebbe essere nata quindi dopo che si è sparsa la notizia della prima?
Esatto. In Libia le proteste da un lato sono spontanee perché l’esasperazione dopo dodici anni di guerra è tanta. Quando ci sono queste manifestazioni basta poco per dare il via a un effetto domino: la stessa caduta Gheddafi si è generata in questo modo. A volte, però, quando parte la prima protesta alcuni gruppi cercano di approfittarne: c’è chi strumentalizza la situazione.
Il punto di partenza, comunque, è che le popolazioni che risiedono vicino ai giacimenti non risentono sufficientemente dei benefici economici che derivano da queste attività?
La gente pensa questo: “Dalla Libia partono gas e petrolio e noi continuiamo a vivere in condizioni di sicurezza ed economiche disastrose”. Anche se poi, ci possono essere strumentalizzazioni di alcuni gruppi che vogliono dimostrare a Tripoli o ad Haftar di avere in mano la situazione rivendicando una parte dei proventi.
Il collettivo dei notabili del Fezzan che starebbe all’origine della chiusura di Sharara chi rappresenta?
I notabili sono le persone più in vista del Fezzan che corrispondono ai capi tribali. Se una parte della popolazione scende in piazza è guidata dai cosiddetti notabili. Di solito succede che se dentro un giacimento è impossibile entrare o fare il cambio degli operai o alcune parti sono fuori controllo, la NOC interviene per bloccare tutto ed evitare problemi.
Nell’episodio di Sharara, tra l’altro, alcune fonti citano un interessamento dell’Esercito nazionale libico di Haftar a sostenere le rivendicazioni dei notabili. Una dimostrazione delle possibili interferenze di cui si parlava prima?
La dinamica di solito è questa: la popolazione, guidata dai capi tribù, è esasperata e sa che bloccando i giacimenti può creare una pressione. Quando il movimento popolare assume proporzioni rilevanti, alcuni gruppi intervengono per strumentalizzare la protesta e far vedere a Tripoli o ad Haftar che sono in grado di sistemare tutto. In passato episodi del genere però si sono spenti in poche settimane raggiungendo un accordo.
Cosa chiede la popolazione al governo?
Innanzitutto sicurezza. Parliamo di comunità, villaggi, paesi senza uno Stato, senza una polizia. Poi investimenti sul territorio: ci sono zone dove non si fa la manutenzione delle strade dai tempi di Gheddafi o dove ospedali e scuole non vengono toccati. La gente chiede un ripristino della normalità.
Per l’Italia cosa significano queste manifestazioni? L’ENI direttamente o indirettamente è collegata ai due impianti legati alla protesta, potrebbero esserci difficoltà di approvvigionamento?
Nel breve termine no. La Libia fornisce circa il 2% del gas. Se dovesse succedere qualcosa a Mellitah l’Italia è in grado di sostituire questa quota con altri approvvigionamenti. Il problema è nel lungo periodo, perché si deve mediare ogni volta che c’è una questione di questo tipo.
Questi due episodi confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che la Libia è ancora molto frammentata e prima di trovare l’unità passerà ancora molto tempo?
Si fanno accordi, si fanno mediazioni poi basta poco e qualcuno circonda un giacimento. Senza rimettere ordine in Libia è difficile pensare ad accordi di lunga durata. Parliamo di un Paese grande cinque volte l’Italia con 6 milioni di abitanti, che potrebbe vivere in pace e che invece assiste a dinamiche assurde.
(Paolo Rossetti)
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