In Libia tutto si muove ma nulla cambia. Nonostante tutti gli accadimenti degli ultimi mesi, che avevano fatto pensare a un cambio radicale negli equilibri interni al Paese, con la conquista di Tripoli da parte dell’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, la situazione, oggi, dopo tre mesi di aspri combattimenti, non è mutata. “Non ci sono cambiamenti sul terreno”. Questa è la frase che si sente ripetere costantemente dalle persone che si trovano nella capitale e nelle zone vicine.
I motivi sono oramai noti. L’ex uomo forte della Cirenaica, che pensava di far capitolare Tripoli in 48 ore, così per lo meno andava dicendo nei social, è fermo da mesi, sovrastato dalle potenti milizie di Misurata, fedeli – più per convenienza che per reale convinzione – al leader del governo riconosciuto dall’Onu. Forse Haftar era stato mal consigliato sulla facilità dell’avanzata verso Tripoli dai suoi alleati regionali (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita) o, forse, la differenza, per le milizie dell’ovest, l’hanno fatta i costanti flussi di armi degli “amici” turchi. Qualunque sia il motivo di questo stallo una cosa, al momento, appare certa: il re è nudo. Le milizie al soldo di Haftar paiono stanche e demotivate, mentre quelle alleate a Tripoli sempre più aggressive e fiduciose nelle loro capacità.
Se è vero che il tentativo di mediazione di Serraj, che qualche giorno fa aveva tentato la carta diplomatica, proponendo una conferenza nazionale sotto l’egida dell’Onu per mettere fine alla guerra, non ha sortito i risultati sperati, è anche vero che Haftar non sembra versare in condizioni migliori. In una recente intervista, riportata dal Libya Observer, il generale, pur ribadendo che le manovre militari continueranno finché non sarà stato raggiunto l’obiettivo, ha anche annunciato che potrebbe formare un nuovo governo al di fuori di Tripoli se le sue forze non riusciranno a entrare nella capitale libica e assumerne il controllo. Una velata ammissione del “pantano” in cui al momento si trova e un modo per tentare una exit strategy quanto più dignitosa possibile.
Cosa potrebbe accadere ora? Con le dovute cautele, vista l’oramai nota fluidità del panorama interno, possiamo tentare qualche ipotesi.
Se davvero Haftar dovesse decidere per una ritirata strategica perderebbe in un sol colpo tutta quella legittimità che si era guadagnato negli anni. Questo, però, non comporterebbe un rafforzamento di Serraj in tutto il Paese perché il leader del Governo di accordo nazionale non è capace di estendere la sua influenza su Bengasi, né tantomeno sulle milizie di Misurata che, avendo combattuto strenuamente per la tenuta del suo governo, si presenteranno a chiedere il conto. Neppure queste, però, sono in grado di rappresentare tutto il Paese perché vicine alla Fratellanza musulmana, invisa ai potenti alleati di Haftar e non troppo amate nell’est.
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di un ritorno ai blocchi di partenza: Serraj e Misurata ad ovest e Haftar ad est. Una soluzione non certo win-win, quanto piuttosto una sconfitta per i due contendenti ma soprattutto per i libici, che da questa guerra hanno avuto solo morti e sfollati e forse speravano che questo sacrificio sarebbe valso, almeno, un nuovo assetto interno più stabile.
Infine, questo caos che ha mostrato la fragilità dei due “leader” libici potrebbe favorire nuovi attori, primo tra tutti Saif al Islam Gheddafi. Il secondogenito del rais libico, che da sempre ha mostrato una certa capacità politica e probabile erede del colonnello quando ancora primavere arabe e bombe Nato non avevano cambiato le sorti del Paese, è ancora popolare dentro e fuori l’ex Jamahiriya. Come Haftar, anche Saif fa perno sul tema della sicurezza che più preoccupa la popolazione. Ha fondato il “Fronte popolare per la liberazione della Libia”, un movimento politico nato nel 2016 per “liberare il territorio dal controllo delle organizzazioni terroristiche e dagli stranieri”. Gode del celato sostegno dei russi e dell’Italia. Il presidente di FerderPetroli, Michele Marsiglia, in un comunicato stampa del 23 marzo del 2018, ha affermato che solo lui ha il potere di rilanciare il settore dell’oil & gas in Libia. Una dichiarazione che lascia poco spazio a fraintendimenti. Sarà lui il terzo incomodo? Difficile prevederlo. Una cosa è certa: la posizione del figlio del rais non è chiara, ma lui può intercettare simpatie e voti dimostrandosi una delle figure più rilevanti per il futuro della politica libica. Che possa essere un candidato vincente per le prossime elezioni – se mai ci saranno – è questione dubbia, ma una cosa è certa, meglio alleato che nemico.
Insomma, il Paese in cui tutto si muove e nulla cambia, forse, potrebbe ancora regalarci qualche sorpresa.
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Michela Mercuri è autrice di “Incognita Libia. Cronache di un paese sospeso”, prefazione di Sergio Romano, Franco Angeli 2019, giunto alla seconda edizione