La cosiddetta "base" del Sinodo ha bocciato il documento finale perché troppo poco inclusivo verso gay e donne. Tutto rinviato a ottobre

È pieno di nuvole il cielo che si staglia sopra l’Assemblea sinodale italiana che, nella giornata di ieri, ha bocciato il testo presentato da mons. Castellucci, sintesi del lavoro fatto negli ultimi tre anni. Un lavoro giudicato dalla maggioranza dei vescovi, dei presbiteri e dei laici presenti troppo scarno, generico, impreciso.



Castellucci, che oltre ad essere il vescovo di Modena è uno dei tre vicepresidenti della Conferenza episcopale italiana (Cei), non ha grandi responsabilità in merito: ha semplicemente sovrinteso al processo di razionalizzazione di una bozza che, presentata nello scorso novembre, contava ben 74mila parole e che – negli infiniti scambi tra gruppi di lavoro ed estensori materiali – è stata ridotta di circa il 50 per cento, lasciando sul tavolo un documento decisamente vago e incapace di raccogliere le numerose istanze espresse in sede di dibattimento dai membri stessi dell’Assemblea.



Adesso è tutto rimandato ad ottobre, ad un testo tutto da riscrivere in forza del migliaio di emendamenti pervenuti alla segreteria del Sinodo. Il problema, comunque, non è semplicemente redazionale, ma – come si studia fin dalla scuola primaria – di soggetto, di verbo e di complemento oggetto.

Il soggetto, infatti, non è un’entità nuova, da costituire: spesso si è sentito dire in questi anni di lavori che la composizione del Sinodo, profondamente rinnovata grazie all’apporto di un accresciuto numero di laiche e di laici, avrebbe introdotto un fatto “nuovo” nella vita della Chiesa, quasi che quanto elaborato in precedenza non ne rispecchiasse la natura e lo scopo, ma fosse semplicemente eco di un’élite clericale priva di mandato e di rappresentanza.



La verità è che un soggetto maturo che non voglia incorrere nei pasticci di questi giorni ha necessariamente bisogno di essere consapevole che la Chiesa in Italia non inizia oggi, non deve essere fondata daccapo, ma esiste già, ha una sua storia, ha scelte buone e scelte fragili da custodire e da far fiorire.

Il soggetto ecclesiale non può mai essere un soggetto rivoluzionario che vede nel cambiamento la sua unica ragion d’essere, ma necessita di esprimere una comunità di credenti che cerca il volto di Dio nel tempo presente, disponibile ad ogni passo che comporti una rinnovata sequela a Cristo. Si cambia non per adeguarsi ai tempi, ma per non perdere di vista la Presenza viva di Dio.

E qui si arriva alla seconda grande questione che sovrasta l’assemblea sinodale: il verbo, ossia la chiarezza di chi si vuole essere e di come si voglia essere. Il punto, per richiamare un intervento importantissimo di Pierangelo Sequeri sull’Osservatore Romano di ieri, non è essere attrezzati a portare avanti la continuità ecclesiale che fin qui abbiamo conosciuto, ma disporre di strumenti capaci di attraversare il cambiamento culturale che la società sta vivendo. Per usare altre parole: il problema non è come la Chiesa italiana possa sopravvivere a questo secolo, ma come la fede possa ancora parlare all’uomo di oggi.

Perché è questo tutto quello che un cristiano ha da dare al suo tempo: l’inaudita misericordia di Dio che prende carne in una ragazzina di quindici anni per abbracciare tutta la nostra umanità e realizzarla in pienezza. L’Assemblea sinodale non deve preoccuparsi di mettersi in linea con i dettami del tempo o di essere alla moda rispetto ad alcune parole d’ordine che hanno breve durata, deve piuttosto sintonizzarsi con l’unica Parola da condividere e da offrire al cuore drammaticamente ferito degli uomini del nostro tempo. Come questo vada fatto è chiaro che è questione di dibattito.

Inutile sottolineare che va completamente tramontando lo schema tridentino in termini di parrocchie e di sacerdozio. Al suo posto si delinea una visione che i movimenti sorti lungo tutto il XX secolo hanno felicemente profetizzato e che gli scandali finanziari e degli abusi all’interno della Chiesa hanno contribuito a chiarire maggiormente: una Chiesa appassionata della storia, fatta di uomini che non esercitano un potere, ma un servizio d’amore perché innamorati di Uno che “li ha amati di un amore eterno”.

Ma c’è di più. E riguarda il complemento oggetto che oggi manca a questa strana Assemblea sinodale che non riesce a decidere le linee guida per un futuro complicato. A chi si rivolge oggi un soggetto ecclesiale che voglia annunciare l’amore di Dio con uno stile di umiltà e di compagnia all’uomo?

Il Sinodo non può risolversi in una seduta di psicoanalisi collettiva in cui si evita accuratamente di affrontare la grande questione dell’uomo contemporaneo, del suo linguaggio, delle sue stesse attese. Non si può fabbricare un prodotto astrattamente pronto, ma incapace di rivolgersi alle miriadi di storie che ai nostri tempi popolano le nostre città, i nostri palazzi, financo i nostri stessi tetti di casa.

Occorrono strumenti teologici adeguati che vadano ad incidere sui seminari, sulle scuole di formazione, sulle facoltà pontificie. Occorre la consapevolezza che non si tratta di rimettere a posto alcune cosucce nella sempre più piccola Chiesa italiana, che non si tratta di tornare ad occupare spazi di potere, di organizzare visioni rassicuranti e battagliere del mondo.

Occorre la consapevolezza che il tempo presente chiede a tutti di ripartire dalle cose che abbiamo dimenticato, dalle frasi minime: soggetto, verbo, complemento oggetto. E una speranza che, se non abbiamo visto in quel di aprile, difficilmente potremmo intravedere nel piovoso mese di ottobre. Dove si annunciano nuvole ben peggiori di quelle di questi giorni.

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