Forse non poteva che finire così, con un accordo per un’uscita non traumatica da quel provvedimento che ha aperto una mostruosa voragine nei conti dello Stato. Quel superbonus edilizio che il ministro Giorgetti ha definito un’allucinazione e la premier Meloni, senza tanti giri di parole, la più grande truffa ai danni dello Stato.
Troppa gente ancora a metà del guado: la fine netta del super-sussidio (il 110%, non solo fai i lavori gratis, ma ci guadagni pure) avrebbe colpito tante famiglie e tantissime imprese. Ma fa pensare che a scatenare letteralmente l’inferno dentro la maggioranza sia stata Forza Italia. La goccia ha scavato la pietra nelle ultime settimane, ma ieri, quando si sono incontrati Tajani, Salvini, Giorgetti e il proconsole della Meloni, Mantovano, tutto era ancora in forse. Il ministro dell’Economia ha fatto muro finché ha potuto, perché negli ultimi mesi le uscite a carico dello Stato hanno conosciuto un’impennata imprevista, sballando tutte le previsioni dei conti pubblici. E le cifre esatte non si conoscono ancora, si parla di 5 miliardi al mese. Si rischia, dicono i bene informati, che il rapporto deficit/Pil raggiunga e forse superi il 6%, dal 5,3% delle stime odierne. Un aggravio interamente dovuto alla chiusura della partita del superbonus.
Quando il vertice a quattro si è riunito a Palazzo Chigi, prima del Consiglio dei ministri, era persino in forse che per la parte restante dei lavori nei condomini lo sgravio futuro fosse del 70%. La percentuale avrebbe potuto essere inferiore, e si rischiava di dover addirittura restituire gli anticipi, laddove i lavori non fossero stati completati. Tajani ha fatto muro, e alla fine l’ha spuntata. Ha dovuto mettere la faccia sull’annuncio che ci saranno controlli seri sullo stato di avanzamento lavori, ma può esultare. Anzitutto per la sanatoria per il 2023: basterà aver superato il 30% dei lavori per non dover restituire nulla allo Stato. Poi la restante parte delle opere di miglioria avranno lo sgravio del 70%, con un fondo a integrare la differenza fra il 110% e il 70% per le famiglie con un ISEE sotto i 15mila euro (aumentato a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare).
Ma perché Forza Italia per una volta si è trovata sulla stessa barricata del M5s nella difesa di un provvedimento scassa-conti pubblici? Perché, in maniera simile ai grillini, si sono trovati sospinti dal proprio elettorato di riferimento, in buona parte situato nelle regioni meridionali, e quindi più sensibili a qualunque provvedimento di sostegno da parte dello Stato: Se il reddito di cittadinanza è servito a Conte & co. per macinare consensi nelle classi meno abbienti, il superbonus ha avuto un effetto molto simile fra le famiglie e le piccole imprese del settore edile, in particolare al Sud (ma non solo). E dal momento che gli azzurri, orfani di Berlusconi, sono impegnati in una lotta durissima per la sopravvivenza, per il gruppo dirigente raccolto intorno a Tajani si è trattato di una battaglia all’ultimo sangue per non alienarsi una fascia significativa dell’elettorato in alcune significative regioni del Sud.
Ora si tratta di scrivere adeguatamente le norme del decreto legge per non incorrere nelle ire del Quirinale. Perché non sarà semplice venire a capo di situazioni che già Confedilizia paventa, di condomini dove alcuni godranno del 110% e altri solo (si fa per dire) del 70%, e potrebbero non aver voglia e interesse a concludere i lavori. C’è un problema di eguaglianza e uno di equità. Ma al netto delle difficoltà nella messa a terra dell’intesa, resta la fatica che questo governo sta incontrando nello smontare norme populiste, messe in piedi senza un adeguato sistema di controlli. Il momento della verità sarà fra qualche settimana, quando al ministero dell’Economia saranno in grado di quantificare con precisione gli ultimi mesi di applicazione del beneficio. Solo allora si capirà il reale effetto sui conti pubblici. E potrebbero esserci sorprese molto amare.
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