Appena arrivato il no del parlamento alla ratifica del Mes – e non prima, guarda caso, anche se l’accordo sul Patto di stabilità è avvenuto nelle 24 ore precedenti – l’opposizione e i maggiori giornali si sono concentrati su Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia è additato come il Sor Tentenna sempre altalenante tra “sì” e “no” al Mes, che non si sarebbe fatto abbastanza valere per evitare all’Italia la figuraccia epocale del voto contrario al Meccanismo europeo di stabilità. Tanto era stato blandito come titolare dello Sviluppo economico nel Governo Draghi quando veniva dipinto come europeista convinto e responsabile cinghia di collegamento tra Supermario e i ribelli leghisti, quanto ora è considerato l’emblema di un’Italietta trafficona e inaffidabile, che voleva scambiare il Mes con clausole più lievi nel Patto di stabilità, e poi, vista la mala parata, ha negato la ratifica per ripicca contro gli eurocattivi. Il che gli ha attirato addosso addirittura la richiesta di dimettersi.
C’è da capire la profonda agitazione di un certo mondo politico, istituzionale, economico, giornalistico e delle alte burocrazie che negli ultimi decenni ha puntato tutto sullo slogan “lo chiede l’Europa” (e quando è stato a palazzo Chigi ha agito di conseguenza). Si ritrova davanti a uno scenario senza precedenti, letteralmente impensabile fino alle 13 di mercoledì scorso: l’Italia, unico Paese dell’area euro, che respinge uno strumento ritenuto – da quel mondo – fondamentale per la gestione delle crisi finanziarie. Poco importa che all’estero non si siano scandalizzati più di tanto; per esempio, la stampa francese – Parigi non brilla per l’esiguo debito pubblico – e quella olandese – i falchi dei falchi – non hanno alzato nessun polverone contro la bocciatura dell’Italia.
In realtà le polemiche sono tutte fatte in casa e alimentate dall’opposizione mediatico-parlamentare. Poiché di Salvini e della Meloni tutto si può dire tranne che non siano stati coerenti con quanto hanno sempre sostenuto, non resta che prendersela con Giorgetti e colpire la credibilità del ministro presunto camaleonte. “Giorgetti ha detto all’Ecofin che l’Italia avrebbe ratificato il Mes: la parola deve essere una”, ha protestato l’ex ministro delle Politiche comunitarie Enzo Amendola (Pd). In maniera più morbida e solo apparentemente convincente, il commissario europeo Paolo Gentiloni, anch’egli ex ministro Pd oltre che ex premier, ha detto ieri al Corriere della Sera che “il Parlamento è sovrano, però i trattati si rispettano”. Certo, i trattati si rispettano, ma dopo averli ratificati, come prevedono la Costituzione e il diritto dei trattati.
In realtà, da quando è ministro (fra Draghi e Meloni saranno tre anni a febbraio) Giorgetti ha sempre ripetuto una cosa: la decisione sarebbe stata presa dal Parlamento. Il che è anche la posizione istituzionalmente più corretta, visto che la ratifica di un accordo europeo spetta alle Camere e non certo al Governo e tantomeno a un ministro. Con i colleghi dell’Eurogruppo in passato si era mostrato possibilista, ma mai aveva detto che l’approvazione era cosa fatta. Dopo il voto del Parlamento le sue idee restano chiare: “Il ministro dell’Economia e delle finanze aveva interesse che il Mes fosse approvato per motivazioni di tipo economico e finanziario”, ha dichiarato: Giorgetti “aveva interesse” – non che fosse d’accordo – probabilmente perché questo gli avrebbe dato maggiori margini di trattativa con i colleghi a Bruxelles. Il ministro ha poi aggiunto ai cronisti fuori dal Senato: “Ma per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni, giurì d’onore e cose di questo tipo, mi è sembrato evidente che non c’era aria per l’approvazione. Per motivazioni anche non solo economiche. Le sfide in Europa sono ben altre, la storia chiede altri tipi di risposte”. E il Meccanismo europeo di stabilità è sicuramente il meno adeguato a fornirle.
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