CAOS UNIVERSITÀ USA/ Nel nuovo ’68 c’è una domanda che nessun “nemico comune” può colmare

- Riro Maniscalco

La protesta contro Israele nelle università americane si fa più aggressiva. L'espressione di un bisogno confuso di essere, orfano di ideali smarriti

Polizia alla Columbia NY Columbia University a NY, la polizia interviene contro le proteste pro-Pal (ANSA, 2024)

MINNEAPOLIS – “Ce n’est qu’un debut, continuons le combat”. Questo non è che un inizio, continuiamo a combattere. Se questi studenti che insistono ad infiammare sempre più il clima delle università americane con i loro moti di protesta sapessero un pochino di francese e conoscessero un pochino di storia dei movimenti studenteschi, probabilmente farebbero riecheggiare nell’aria questa litania del Maggio parigino. Maggio del tempo che fu, ma che sembra voler tornare. Perché quello che sta avvenendo nelle università degli States, inevitabilmente ci rimanda col pensiero al ’68. A torto o a ragione. I tempi sono diversi, le ragioni sono diverse, il mondo è diverso, ma la fenomenologia della protesta ha lo stesso sapore. Dopo gli encampments, tendopoli nel mezzo dei campus, adesso  si passa alla occupazione degli edifici delle università. E le università si mettono in lockdown nel tentativo di frenare la rivolta e l’entrata in gioco di “corpi estranei”.

Ed è sempre l’avanguardia della Columbia University ad indicare il sentiero della rivolta. La prestigiosa ed esclusiva Columbia, dove solo per iscriversi ci vogliono 70mila dollari all’anno. Sono gli studenti della Columbia, studenti da 70mila dollari l’anno, a dettare il nuovo passo con la presa della Hamilton Hall, sede degli uffici amministrativi. Come nel ’68, nel ’72, nell’85, nel ’92 e nel ’96, prepotente gesto di protesta contro guerre, apartheid, ingiustizie varie a seconda dei tempi e della storia, vere o presunte. Hamilton Hall occupata martedì mattina sfondandone le porte di accesso e immediatamente ribattezzata a nuova vita col nome di Hind’s Hall, in memoria di Hind Rajab, bambina palestinese di sei anni uccisa nei bombardamenti di Gaza. “Questo edificio è stato liberato”, ha annunciato su Instagram con tono e linguaggio esplicitamente rivoluzionari un gruppo organizzato di studenti. La protesta si allarga a macchia d’olio per tutto il Paese, università per ricchi dapprima e adesso anche università per i meno abbienti.

Oggi, seguendo la nuova traccia, sono stati tanti i tentativi di occupazione. Gli studenti si Un corganizzano, lo scontro con la polizia si fa fisico e cruento, almeno un migliaio di giovani sono già finiti dietro le sbarre, alcuni leaders della protesta espulsi dalle università. Come ad esempio Khymani James, immortalato in un video mentre proclama che bisognerebbe essergli grati che non vada in giro ad ammazzare sionisti. Ma che protesta è questa? Dove potrà mai portarci?

Detto fuori dai denti sembra tutto un grande gioco. Violento ed estremamente pericoloso. La tragedia di Gaza, le pene di Israele, la malvagità di Hamas e dei bombardamenti indiscriminati sembrano pretesti per dare sfogo ad un confuso bisogno di essere, ad un confuso desiderio di vivere la vita da protagonisti, spunti per trovare a buon prezzo una forma di compagnia, qualcuno con cui condividere qualcosa di più grande di sé chiamandolo ideale o che altro, alla ricerca di tracce di un luogo che offra almeno una briciola di risposta alla solitudine, al bisogno di appartenenza. E se per le ragazzine ed i ragazzini d’America ci sono Taylor Swift e lo sport a mettere una pezza a questi bisogni radicali, per un numero sempre maggiore di universitari di oggi c’è la protesta contro un comune nemico, Israele. Esattamente come fa Israele con la Palestina ed i palestinesi.

God Bless America!

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