Nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, l’esercito austro-ungarico sfondò a Caporetto e dilagò nella pianura friulana e veneta facendo prigionieri, in poco più di due settimane, oltre 250mila soldati italiani. Il nostro esercito retrocesse fino al Piave e da lì iniziò quel riscatto che portò, giusto un anno dopo, alla vittoria italiana nei pressi della località che fu poi ribattezzata Vittorio Veneto. Da allora, Caporetto è sinonimo di disfatta e “linea del Piave” quello dell’ultima reale possibilità di uscirne con dignità.
Speriamo che si possa presto celebrare l’analogo di Vittorio Veneto contro il Covid-19. I paragoni tra la grande guerra e l’attuale epidemia ci sono stati suggeriti dalla retorica giornalistica. Da mesi, siamo bombardati con termini roboanti: trincea, eroi, prima linea, coprifuoco eccetera. Dato che il linguaggio ha fatto presa, introduciamo altri termini guerreschi che servono a capire l’epidemia: controspionaggio, strategie, armi, armistizio.
Finora, il vaccino è l’arma più potente creata contro il virus, però è un’arma che serve a neutralizzarne la potenza. Se tutto andrà bene, verso la fine di quest’anno o all’inizio del 2022, avremo con il virus una pace armata, un armistizio. In altre parole, tutto tornerà come prima di Wuhan: il coronavirus resterà molto diffuso in Cina, dove imperversa da decenni e dove probabilmente sono già immunizzati, ma non farà così male nel resto del mondo.
Per capire l’effetto del vaccino, cominciamo raccontando la storia di quello prodotto da Pfizer-BioNTech. L’anno scorso due figli di immigrati turchi in Germania, il professor Uğur Şahin e la dottoressa Özlem Türeci, fondatori della BioNTech, hanno tratto dalla letteratura scientifica un’idea che circola da decenni per altri scopi, ossia che, per impedire al coronavirus di entrare nelle nostre cellule, basterebbe neutralizzare l’azione delle sue spike, ossia delle escrescenze simili a ventose che lo ricoprono. Se non riesce a entrare nelle nostre cellule, il virus si disattiva; pertanto, quand’anche venissimo contagiati, non ci infetterebbe. I ricercatori della BioNTech, alleati a quelli della statunitense Pfizer, a tempi record, hanno prodotto una nano-particella (detta Rna-messaggero) che si introduce nella cellula e genera degli anticorpi come se la cellula fosse entrata in contatto con le spike degli assedianti coronavirus. Questo, nel modo più volgarizzato possibile, è il vaccino della Pfizer-BioNTech.
Speriamo che un giorno i coniugi Şahin scrivano un libro sul loro vissuto recente. Sarà una gioia per tutti coloro che credono che le idee ardite meritino successo. Infatti, sempre con il linguaggio di guerra, la creazione di un vaccino come il loro è paragonabile all’azione del controspionaggio che, alterando il codice criptato con cui i virus trasmettono gli ordini d’assalto, ne disorientano le prime linee. Il tutto con il contorno di concorrenti spioni e di batticuori provocati da protocolli sperimentali, intrighi e burocrazie nazionali e internazionali, criteri di produzione e commercializzazione del vaccino, e da quant’altro implica un’impresa di tal fatta. Sembra, tra l’altro, che l’azienda abbia rifiutato fondi statali incentivanti per non rimanere invischiata in condizionamenti politici (era il periodo delle elezioni presidenziali americane). Proprio un’impresa epica.
Comunque sia, la fine della storia è già scritta, nel senso che i coniugi visionari vissero felici e gratificati (sono già tra i 100 tedeschi più ricchi; chissà fra un anno quando avranno venduto molti altri milioni di vaccini).
L’Italia di dosi del loro vaccino ne ha già comperati 26,9 milioni, pagando per ciascuna 12 euro, per un costo complessivo di oltre 323 milioni di euro. Più o meno la stessa cifra daremo alla tedesca CureVac, all’alleanza franco-britannica tra Sanofi-Pasteur e Gsk, nonché alla Janssen, azienda belga collegata per via di capitale alla statunitense Johnson & Johnson. Queste aziende ci hanno già venduto molti altri milioni di vaccini. Poi ne abbiamo acquistati altri milioni di dosi dall’americana Moderna (che collabora con la Niaid, l’Istituto statunitense di ricerca sulle allergie e le malattie infettive di cui è presidente il virologo Anthony Fauci), e dall’alleanza tutta britannica tra AstraZeneca e Università di Oxford. Nel complesso, abbiamo – per adesso – prenotato 202,6 milioni di dosi per un costo di oltre 1,5 miliardi di euro (si veda la tabella sottostante).
Quantità e costo dei vaccini prenotati dall’Italia (nostra elaborazione di dati tratti dal Web)
Venditore | Dosi (milioni) | Prezzo unitario | Costo (euro) |
AstraZeneca – Univ. Oxford | 40,4 | 1,78 | 71.876.400 |
Janssen – J & J | 53,8 | 6,93* | 373.093.298 |
Pfizer – BioNTech | 26,9 | 12,00 | 323.040.000 |
Sanofi Pasteur – GSK | 40,4 | 7,56 | 305.272.800 |
CureVac | 30,3 | 10,00 | 302.850.000 |
Moderna – NIAID | 10,8 | 14,67* | 158.015.985 |
Totale | 202,6 | 7,57 | 1.534.148.483 |
(*) Il prezzo d’acquisto è in dollari americani; è stato tradotto in euro per comodità di analisi.
Il prezzo del vaccino lo stabilisce chi lo vende, contrattando con il compratore. Diciamo così perché anche gli acquisti per l’Italia sono stati realizzati e secretati dall’Unione Europea. Se non fosse stato per un errore di una ministra belga che ha postato su un social (e poi subito rimosso, ma era troppo tardi) la lista dei vaccini acquistati, non avremmo saputo nulla fino a iniezioni fatte, e forse neppure dopo.
Cerchiamo di capire perché gli acquisti dovevano rimanere segreti. L’ipotesi più pessimista è che i governi non si fidassero della pubblica opinione, ora sono costretti. Un’altra è che l’arrivo improvviso e gratuito di vaccini avrebbe favorito il controllo psicologico della somministrazione alla popolazione. Una terza ipotesi riguarda l’estrema variabilità del prezzo d’acquisto delle singole dosi: infatti, una dose di vaccino costa all’Italia, in media, 7 euro e 57 centesimi, però la variabilità dei prezzi è molto elevata: si va da un minimo di 1,78 euro per una dose del vaccino AstraZeneca ai 14,67, ossia otto volte di più, per una di Moderna (il prezzo di quest’ultimo vaccino è in dollari; la parità in euro l’abbiamo calcolata noi, per comodità di analisi).
Cerchiamo di capire da cosa nasce tanta variabilità tra prezzi unitari. Una prima ragione può derivare dal tipo di vaccino. I vaccini basati sulla sintesi dell’Rna, prodotti sia da Pfizer che da Moderna e CureVac, costano nettamente di più degli altri: il minimo è, infatti, 10 euro e il massimo rasenta i 15 euro. Gli altri tre vaccini che l’Italia ha acquistato sono prodotti con altri criteri di laboratorio: due (quelli di AstraZeneca e di Janssen) sono del tipo “vettore virale non replicante (VVnr)” e uno (quello di Sanofi) è del tipo “subunità proteica”. Nel primo caso, il vettore virale invia alle nostre cellule un codice per generare la risposta immunitaria senza replicarsi, vale a dire senza provocare l’infezione; nel secondo, vengono inoculati frammenti di proteine virali dosati in modo da provocare la reazione antigenica ma non la malattia. Tra questi ultimi tre vaccini, due (Janssen e Sanofi) costano piuttosto meno e uno (AstraZeneca) molto meno del Moderna. Non siamo in grado di andare oltre la constatazione delle differenze. Chissà se qualche generale presente a Bruxelles può spiegarlo.
Inoltre, sembra che l’efficacia di vaccini basati sul sistema VVnr sia bassa se uno è già entrato in contatto con lo stesso virus e abbia attivato per proprio conto la risposta immunitaria. Questa eccezione ci dice che è necessario sapere se uno è già immune per proprio conto, oppure no. Sempre la stessa fonte ci dice che il vaccino basato su frammenti di proteine virali potrebbe non essere in grado di far reagire un sistema immunitario indebolito per altre cause e dovrebbe, pertanto, essere rinforzato con un vaccino coadiuvante. Dalla base di dati dell’Oms denominata Novel Coronavirus Landscape Covid-19 risulta, infatti, che il vaccino Sanofi contiene anche un coadiuvante del sistema immunitario.
Comunque sia, restano da capire i motivi per cui una fiala di vaccino della Janssen costa quasi il quadruplo di una dell’AstraZeneca, pur facendo riferimento allo stesso criterio vaccinale. Non sappiamo se le fiale della Janssen contengano una maggiore quantità di vaccino. Oppure se la differenza di prezzo dipenda da criteri di fornitura del prodotto. Oppure, se dipenda da altri motivi.
Ormai i contratti sono fatti, è inutile recriminare sui costi. Tuttavia, due domande sorgono spontanee: 1) Le differenze di prezzo tra vaccini dipendono meramente dalla contrattazione di mercato o dipendono in qualche misura dalla qualità del prodotto? 2) È corretto affermare – come suggerirebbe la letteratura scientifica – che le differenti metodologie produttive dei vaccini si correlano con le caratteristiche delle persone da vaccinare e, se sì, con quali caratteristiche e come si correlano?
La popolazione civile inchiodata in casa e le truppe attestate sul Piave bramerebbero risposte a queste due domande. Infatti, se circolasse il sospetto che il prezzo è correlato alla qualità, lo scenario diventerebbe fosco. Non occorre essere profeti per immaginare che gli italiani che porgerebbero il braccio al vaccino che costa meno sarebbero molti meno di quelli pronti a farlo per il vaccino che costa di più. Comunque sia, è giusto che il vaccino che si sta inoculando alle prime linee sia tra quelli che costano di più. Si sa che si vince una guerra solo se il morale delle truppe è alto.
Per quel poco che si sa, la letteratura medica ha già evidenziato che alcune categorie di persone reagiscono in modo diversificato ai vaccini. Quindi, per le stesse buone ragioni per cui si propone una vaccinazione di massa, si predisponga una scheda-questionario elettronica da compilare per ogni italiano che si vaccina e s’impegnino i medici a stabilire a ragion veduta chi, quando, quante volte e con quale vaccino vaccinare. Naturalmente, sul piano individuale, queste informazioni avranno valore clinico, mentre, in forma aggregata, avranno importanza a fini di analisi statistica della relazione tra vaccini e salute.
Un’ultima sollecitazione sul sistema informativo sull’epidemia. Imparare dai nostri errori è divino. Quindi, si progetti e si realizzi un sistema di statistiche articolato sul territorio e integrato con approfondimenti sperimentali (su efficacia del vaccino nel tempo, su effetti collaterali eccetera) per informare in modo mirato chi decide, chi opera sul campo, ma anche chi vuole semplicemente sapere. Per questo motivo, come fanno tutti gli altri Paesi democratici, rendiamo i dati accessibili a chiunque, senza preoccuparci se qualcuno, prestando le dovute attenzioni per la privacy, vuole analizzare per proprio conto i dati.