La Russia di Putin sostiene “tutte le legittime autorità del Venezuela, compresa la presidenza, nonché il dialogo del presidente Nicolas Maduro con l’opposizione”. “Pensiamo che qualsiasi rifiuto di tenere questo il dialogo sarebbe irrazionale, dannoso per il Paese e pericoloso per il benessere della gente”, concludendo che il suo Governo “sostiene sempre le autorità legittime” Lo ha detto il leader russo nelle sue dichiarazioni al margine della visita ufficiale del Presidente Maduro a Mosca, dopo che nel corso degli ultimi mesi si era dato a intendere che le relazioni tra i due Paesi non fossero poi così cordiali: anche da dichiarazioni ufficiali si era capito che ormai non esistevano più i presupposti per continuare a essere alleati di un regime che oltretutto non rispettava minimamente neanche gli accordi economici stipulati a suo tempo e che hanno costituito il vero collante della relazione con Maduro.
Ora si assiste a una retromarcia che ormai pare in sintonia con l’epoca politica che stiamo vivendo, nella quale le alleanze si fanno e si disfano nel giro di un mattino e il nemico ideologico di ieri si trasforma nel grande alleato di oggi. Sarà l’effetto delle tonnellate di oro delle riserve venezuelane arrivate tempo fa a Mosca?
Contemporaneamente si fanno circolare da parte del potere madurista dichiarazioni corredate di foto dei leader dell’opposizione venezuelana in selfie fatti con leader dei vari cartelli del narcotraffico: la cosa ha coinvolto sia l’attuale Presidente ad interim Guaidó che Leopoldo Lopez.
Quello che richiama l’attenzione non è tanto l’attendibilità delle foto (al giorno d’oggi chi è al centro dell’attenzione mediatica di selfie ne fa a centinaia al giorno senza chiedere l’identità di chi li chiede), quanto il fatto che proprio il narcotraffico è tra gli alleati più fedeli del regime di Maduro, che ha molti rappresentanti del suo Governo immischiati nel fenomeno che approfitta della sostanziale libertà che hanno mafie e criminalità nel Venezuela odierno per trasformarlo in una terra di nessuno, dove ogni illegalità opera in un territorio che, per quanto riguarda i narcos, dopo la lotta fatta dal Governo colombiano nell’ultimo decennio, ha rappresentato una seconda Patria.
Dopo aver indetto una campagna contro gli Usa di Trump, culminata nella sua assenza all’Assemblea generale dell’Onu, ora Maduro dichiara di volersi incontrare con il Presidente statunitense per discutere delle misure imposte dal suo Governo al Venezuela: ma le sorprese non finiscono qui. Il dittatore ha pure informato che ben 55 deputati del Psuv, il partito chavista al potere, rientreranno nell’Assemblea nazionale venezuelana (organo presieduto da Juan Guaidó) per “andare al combattimento” e al “dibattito” con le idee, come ha dichiarato.
Quest’ultimo fatto costituisce una novità sopratutto perché implica il riconoscimento da parte del Potere di un organismo che era stato esautorato dallo stesso tempo fa ed è stato accompagnato da un altro provvedimento, meno contundente, che è il riconoscimento dell’opposizione all’interno del Parlamento venezuelano. Qui però i partiti ammessi costituiscono un’opposizione puramente formale a Maduro, in quanto si tratta di formazioni (Cambiemos, Mas, Avanzada Progresista y Soluciones) ampiamente marginali rispetto al Frente Amplio e a Venezuela Libre, che costituiscono una maggioranza non riconosciuta nell’attuale Governo. Siamo in presenza quindi di un maquillage politico di insignificante valore, che così come le alleanze ricucite (prossimamente sarà il turno della Cina?), tentano di lanciare cortine fumogene atte a mascherare la crisi di un regime che ormai non sa più che pesci pigliare, sopratutto da quando anche l’Onu si è accorta che la parola democrazia in Venezuela non esiste.