Nova Gorica e Gorizia sono capitale della cultura 2025. Una sola città mitteleuropea dove la storia e i confini sono fatti per vivere, conoscere e unire
Bolàffio de ‘na piazza / de Gorizia el me conta, / ch’el voria piturarla: / ‘na granda piazza sconta, / che nissun passa”. Devo all’amico Riccardo Mauroner il ricordo di questi versi di Virgilio Giotti, il grande cantore di Trieste, ma anche di Gorizia, oggi al centro dell’interesse nazionale ed europeo, visto che la città isontina è stata scelta, insieme con la slovena e dirimpettaia Nova Gorica, come capitale della cultura per il 2025, la prima capitale transfrontaliera.
Scelta particolarmente azzeccata, che unisce nel nome della cultura, dell’arte e del dialogo due zone che furono al centro di sanguinosi conflitti nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. Oltre cento progetti, più di quattrocento eventi tra musica, teatro, arte, letteratura, danza, enogastronomia, moda, iniziati in febbraio e che si protrarranno fino a dicembre, mettendo al centro il dialogo e la convivenza tra i popoli, temi che troppo spesso affrontiamo in modo scontato.
Ma non è certo così per chi, oggi avanti con gli anni, ha vissuto epoche ben diverse. Un emozionato Claudio Magris, in un evento celebrato nel luglio scorso e che è andato a incrociarsi con la rassegna Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, ha detto: “Mi vengono in mente tante cose, gli anni lontani in cui si sapeva che questa città sarebbe diventata una sola. Ricordo i grandi anni degli incontri mitteleuropei che si tenevano a Gorizia: oggi per me è toccante, essere qui. Si capisce che affrontando queste tematiche ci occupiamo di quelle cose per cui la vita acquista dignità maggiore”.
Gorizia è una città ricca di fascino, crogiolo di culture e di storie: limite estremo dell’Occidente, testimone di ferite sanguinose; qui scorrono le acque verde smeraldo dell’Isonzo, teatro di estenuanti battaglie durante il primo conflitto, culminate nella disfatta di Caporetto; è l’Isonzo di Ungaretti: “l’Isonzo scorrendo / mi levigava/ come un suo sasso (…) Questo è l’Isonzo / e qui meglio / mi sono riconosciuto / una docile fibra dell’universo”. Qui è il Carso, la dura pietra di confine, per sempre legata al grande libro di Slataper e ai versicoli dell’ungarettiana Allegria.

Gorizia è la città di Carlo Michelstaedter, il geniale e precoce filosofo de La persuasione e la rettorica: la città in cui studiò e poi insegnò Biagio Marin; che vide gli inizi della rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia.
Una città che ancora adesso vanta poeti di prim’ordine, come Giovanni Fierro e Francesco Tomada, i quali hanno saputo rinnovare la poesia dei padri, come Saba, sempre riscrivendo la linea del confine, cuore e mito della loro scrittura, ma aprendola a prospettive di superamento. Nativo di
Gorizia è anche Ivan Crico, poeta e pittore tra i più interessanti della sua generazione della fine degli anni Sessanta. In Crico, che scrive in bisiac, l’antica parlata sospesa tra veneto, friulano e sloveno, “ciò che era confine per il cielo oggi si fa soglia / di un altro azzurro”.
E Oltre la linea è il titolo del progetto espositivo realizzato a Gorizia da Crico con l’artista triestina Manuela Sedmach. Lo spunto è offerto da una riflessione di Ernst Jünger sulla filosofia di Heidegger sul possibile superamento del nichilismo. Per Heidegger l’“oltrepassare” quella linea può consistere non in una fuga, ma un permanere presso di essa, affrontando il vuoto senza cedere alla sua inerzia. Il confine diviene così per i due artisti soglia esistenziale, tra visibile e invisibile, passato e futuro, umano e tecnico. Il gesto artistico si fa forma di risposta al vuoto, dedizione all’essere, testimonianza dell’essenziale.
E non si dimentichi, se si visitano quelle regioni, di assaggiare la gubana, il tipico dolce friulano, magari accompagnato da un bicchiere di Collio, uno dei migliori vini italiani.
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