Carcere: al Meeting oggi si parla di lavoro per i detenuti. Il viceministro alla Giustizia Paolo Sisto spiega le decisioni del governo

Solo il 2% dei detenuti con un lavoro commette ancora reati, motivo in più per fare del carcere un’occasione di fattiva riabilitazione. Di questo si parlerà oggi al Meeting di Rimini, nell’incontro “Il valore del lavoro per chi sconta una pena”, al quale parteciperà Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia nel governo Meloni.



Finora solo un terzo dei reclusi accede al lavoro, anche se il ministero ha appena emanato un decreto, animato da fondi europei, per incrementare le attività nell’area trattamentale. Un piano che va di pari passo con una strategia per ridurre il sovraffollamento, puntando, fra l’altro, su soluzioni alternative per chi è tossicodipendente e sulla diminuzione dei detenuti in custodia cautelare.



Un impegno che vede sullo sfondo i grandi temi del dibattito sulla giustizia, la separazione delle carriere prima di tutto e, in stretta connessione, i rapporti politica-magistratura.

L’ordinamento penitenziario prevede che sia favorita la destinazione dei detenuti al lavoro. Ora però, su oltre 60mila detenuti, solo 20mila accedono ad attività lavorative. C’è un piano per incentivare il lavoro in carcere?

Con una decisione del 30 luglio, comunicata l’11 agosto scorso, il ministero della Giustizia ha emesso un decreto ad hoc per l’ammissione al finanziamento di numerose iniziative dei provveditorati regionali, nell’ambito dei fondi europei di sviluppo regionale, nel programma nazionale di inclusione e lotta alla povertà 2021-2027. Riguarda, infatti, le regioni che hanno presentato progetti approvati dai rispettivi provveditorati dell’amministrazione penitenziaria. Si tratta di somme importanti, che vanno dai 3 ai 13 milioni per regione, a disposizione di Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Campania, Sardegna, Puglia e Basilicata, Lombardia, Toscana, Umbria, Piemonte, Liguria, Calabria, Lazio, Abruzzo, Emilia-Romagna.



Per cosa potranno essere utilizzati i finanziamenti?

Il governo ha a cuore il problema del lavoro di chi è detenuto, visto che chi lavora ha un tasso di recidiva solo del 2%. L’incremento delle risorse è finalizzato anche all’ampliamento degli spazi utilizzati per lo svolgimento delle attività lavorative e per finanziare strutture che possano ospitare temporaneamente coloro che hanno percorsi di reinserimento, ma non hanno un luogo di riferimento.

Dunque non sono soldi solo per il lavoro?

Riguardano tutto quello che ruota intorno all’attività trattamentale. Rientrano nel tema attività riferite all’esecuzione penale esterna, come all’housing sociale. Si potranno corrispondere ratei di locazione mensili per i destinatari; edifici demaniali o di proprietà delle regioni potranno essere ristrutturati per realizzare aree di lavoro trattamentali, hub per l’incontro con i professionisti e gli assistenti sociali che seguiranno i detenuti come tutor. Queste somme saranno anche destinate a creare nuove occasioni di lavoro: creazione di libri tattili, laboratori di panificazione, pasticceria, pizzeria, estetica, corsi di formazione affidati prevalentemente alle regioni.

Ma quante persone in più potrebbero lavorare grazie a questo intervento?

È difficile quantificarne il numero, perché dipenderà dalle singole situazioni, dalle singole regioni, dai singoli istituti, dai detenuti che accetteranno i percorsi rieducativi. Lo ha ribadito recentemente la Corte costituzionale con la sentenza 10 del 2024: lo Stato ha il dovere di offrire i percorsi rieducativi, ma il detenuto deve accoglierli convintamente per potere usufruire dei conseguenti benefici. Si tratta, comunque, di risorse molto importanti che comporteranno indubbiamente un significativo incremento del numero di soggetti che potranno utilmente lavorare.

Rimane, comunque, il tema del sovraffollamento delle carceri: ci sono 62.986 detenuti a fronte di una capienza massima di 51.805. Su questo, come intendete intervenire?

Innanzitutto, c’è un commissario per l’edilizia penitenziaria che ha ultimato le sue riflessioni, pronto ad attuarle. Quando la nostra proposta diventerà realtà, i tossicodipendenti lasceranno il carcere, destinati a strutture che si occuperanno specificamente del loro recupero, con un beneficio deflattivo di circa 8mila unità. Già questo permetterebbe di ristabilire un più corretto rapporto fra capacità abitativa e numero dei soggetti collocati all’interno degli istituti di pena. Lavoriamo anche a una rilettura più certificata della custodia cautelare: il 15-20% dei detenuti è in questa condizione, una categoria molto ampia. Se riuscissimo a ridurre anche quest’ultima percentuale, potremmo garantire ai detenuti spazi più dignitosi.

Serve anche un provvedimento di clemenza, magari di liberazione anticipata per buona condotta? Ne hanno parlato Mattarella, il Papa, lo stesso La Russa.

Allo stato la discussione all’interno della maggioranza è piuttosto ferma: non si pensa a provvedimenti di clemenza “secchi” perché vengono ritenuti non rieducativi. Lasciare il carcere perché non c’è posto, una sorta di sfratto per finita locazione, non viene ritenuto utile dalla maggioranza, vista l’alta percentuale di recidivazione che ne conseguirebbe. Direi che, come noi di Forza Italia predichiamo da sempre, bisogna avere un po’ di pazienza, testare queste iniziative ed eventualmente, magari in forma progressiva, sempre considerando la buona condotta del detenuto, pensare a un incremento dei tempi della liberazione anticipata. Non è un’ipotesi che noi azzurri consideriamo blasfema.

Il piano presentato prevede una spesa di 758 milioni: è pensato sul lungo termine? C’è la possibilità di interventi più immediati?

Non è pensato sul lungo periodo, esattamente il contrario: gli interventi saranno anche a brevissimo, alcuni potrebbero comportare soltanto qualche mese. Molto dipende, come sempre, più dalle persone che dalle norme: un direttore di istituto solerte, un provveditore attento, contribuiscono a rendere gli sforzi del legislatore concreti. Si tratta di un lavoro articolato, composito, spesso difficile: per citare Mary Poppins, nulla può essere risolto con uno schiocco di dita.

L’inchiesta di Milano sull’urbanistica, le dimissioni di Occhiuto in Calabria seguite all’apertura di un’inchiesta, le dichiarazioni di esponenti dell’ANM in seguito agli sviluppi del caso Almasri: tra magistratura e politica c’è ancora tensione?

In una certa fetta della magistratura, quella più legata alle correnti, c’è indubbiamente una sorta di nervosismo da riforme costituzionali: dalla separazione delle carriere al sorteggio per i componenti del CSM, fino all’Alta Corte disciplinare. Sia chiaro: nel nostro Paese, per fortuna, tutti hanno il diritto di non essere d’accordo, ma, nella specie, bisogna stare attenti. Il Parlamento scrive le leggi, i giudici le applicano, così scolpisce la separazione dei poteri l’articolo 101 della Costituzione. Se qualcuno cerca di sconfinare, di disturbare il corretto esercizio della prerogativa di ciascuno, si creano cortocircuiti istituzionali dannosi per la democrazia.

Entrando nello specifico c’è qualcosa che non quadra nell’inchiesta di Milano?

Non conosco gli atti e quindi, con la doverosa prudenza del tecnico, mi guardo bene dall’esprimere giudizi di merito. Prendendo però atto degli interventi demolitori del Tribunale del Riesame, mi permetto un giudizio di metodo. Secondo me c’è un rischio grave, non necessariamente legato a questa vicenda: la trasformazione automatica, tutta patologica e del tutto inaccettabile, di eventuali ex abusi d’ufficio in fatti di corruzione. Un fenomeno che va arginato: l’abolizione, magari non condivisa, di un reato non può diventare pretesto per applicarne uno più grave, in barba al principio di stretta legalità. La Cassazione dovrà necessariamente dire la sua.

Come giudica la scelta di Occhiuto di dimettersi nonostante sia solo indagato?

Nel nostro Paese, finché non c’è una sentenza di condanna definitiva, nessuno può essere definito colpevole, secondo l’articolo 27 della Carta. Accade però che un’informazione di garanzia, atto unilaterale del Pm, metta subito alla berlina la persona che l’ha ricevuta, e senza che vi sia stato nessun intervento del giudice. Roberto Occhiuto, nel rispetto del principio costituzionale, non si è fatto logorare, si è smarcato e ha detto: “A questo punto chiedo ai miei elettori se mi accettano anche con questa pendenza”. Mi sembra un modo coraggioso di raccogliere la sfida della presunzione di non colpevolezza, il tentativo di debellare una pessima abitudine tutta italiana.

Ci sono le condizioni anche per una riforma dell’immunità parlamentare?

È un tema delicato che merita una riflessione assai profonda. So che la Fondazione Einaudi sta raccogliendo firme per supportare il ritorno all’originario articolo 68. Si vedrà. Per ora credo che il must sia portare a casa la riforma, correttamente definita epocale da Antonio Tajani, in discussione in Parlamento, prossima all’approvazione e pronta per i referendum confermativi. Ai cittadini, cancellando il messaggio fallace che qualcuno ha confezionato ad usum, bisognerà chiarire che non c’è una guerra della politica contro la magistratura, anzi che si tratta di un intervento a tutela di ciascuno, perché pone il giudice in posizione di vera terzietà e imparzialità, e a tutela anche di tutti i magistrati, finalmente liberati dal giogo delle correnti.

Le polemiche su questo tema non mancano.

Qualcuno si sbraccia facendo riferimento alle idee di Gelli, tra l’altro “a spanne”. Voglio solo ricordare qualche nome di chi era a favore della separazione delle carriere: Matteotti, Chiaromonte, Terracini, Moro, Calamandrei. Giovanni Falcone stesso, in un’intervista del 1991, disse che il Pm non deve essere un paragiudice. Vogliamo restituire alla giustizia il suo equilibrio, realizzare quel triangolo isoscele in cui in cima c’è il giudice, e alla base, alla stessa distanza, pubblico ministero e avvocato difensore. Diciamolo con una metafora calcistica: non si è mai visto un arbitro della stessa città di una delle due squadre in campo.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI