Non si placa il maxi scandalo in Russia per i casi di stupri e torture avvenute in molte carceri del Paese: il lungo reportage offerto da “Repubblica” – con tanti di video rimossi in Russia – descrive un inferno fatto di regole mafiose, di soprusi dei carcerieri e di silenzi sottaciuti per anni.
Gli scandali emersi già lo scorso novembre portarono Vladimir Putin alla decisione drastica di rimuovere direttore dell’amministrazione penitenziaria Aleksandr Kalashnikov, generale del Fsb: il suo posto è stato preso da Arkadij Gostev, vice-ministro dell’Interno. La situazione però non sembra sia cambiata molto, come dimostrano i video trafugati da un ex detenuto del carcere di Saratov oggi nascosto in Francia contattato dagli inviati di “Rep”: «sono io, quello che ha passato all’associazione non governativa Gulagu.net quelle immagini terribili», spiega Sergei Savelyev arrestato in Russia nel 2013 e ora nascosto dal governo francese. Col tempo e con la buona condotta, Sergei arriva a lavorare nell’ufficio di comando dell’ospedale in quanto considerato «detenuto operativo affidabile»: «Dopo circa due anni arriva la svolta: si fidano abbastanza di me, al punto da darmi i video delle torture, col compito di cancellarli oppure di inoltrarli ad altri uffici».
TORTURE, STUPRI E SILENZI: L’INFERNO NELLE CARCERI RUSSE
«Tutti sapevano che queste cose avvenivano, ma fino a quando non le ho viste con i miei occhi non mi sono sembrate reali. Ho cominciato a guardare il girato ed ero disgustato. All’inizio non sapevo cosa fare. Poi ho deciso di copiarli», racconta ancora l’ex detenuto a “Repubblica” svelando dal di dentro l’inferno delle carceri russe. 2 terabyte di materiale, migliaia di video raccolti in neppure due anni, tutti copiati e nascosti fino alla liberazione dal carcere nel 2021. L’orrore delle immagini è tremendo: vittime tenute ferme, stuprate, picchiate, legate con metodi medievali. Viene punito, spiega il reportage divenuto ora un podcast, «chi si lamenta troppo, chi scrive denunce contro l’amministrazione, chi non vuole ritirare una testimonianza scomoda, chi è scappato dal campo, chi non vuole svolgere certi compiti onerosi». Un orrore tale da far prendere posizione anche alla mafia russa che vige dietro le sbarre, i cosiddetti “ladri-in-legge”: scrivono i boss attaccando il regime carcerario dello Stato governato da Putin, «queste vittime a livello umano, si può solo simpatizzare con loro […] Comunicate la vostra situazione e gli uomini vi aiuteranno», per ‘uomini’ si intendono i prigionieri «che rispettano il codice delle prigioni». Chi è stato aggredito a Saratov oppure a Irkuts – le principali carceri documentate da immagini come torture e stupri, «non deve temere di raccontare la propria storia». Nel documento vengono di fatto “riscritte” le “regole” dell’onore e dell’omertà dietro le sbarre per proteggere meglio chi diviene vittima di tali soprusi da parte dei carcerieri: «Pace alla nostra Casa comune. Prosperità alla comunità dei ladri-in-legge», servono «umanità e compassione» per le vittime della tortura del regime. Quanto il Cremlino fosse a conoscenza di quanto avvenga in alcune carceri è tutto da dimostrare, chiaramente, anche visto la reazione del Governo che ha lanciato in queste settimane il disegno di legge sull’inasprimento delle pene per torture (a firma della senatrice Liudmila Narusova), Il problema è che le torture non si limitano solo nelle carceri, ma sono “strumenti” utilizzati talvolta anche dalla polizia russa e dal Servizio Federale di Sicurezza (Fsb).