La Russia cerca di tenersi strette le sue basi in Siria, quella navale a Tartus e quella aerea vicino a Latakia, ma la nuova situazione politica del Paese pone qualche dubbio anche sulla permanenza di Mosca, che pure, secondo alcuni analisti, grazie alla Turchia avrebbe già ottenuto qualche rassicurazione in merito. Il problema, però, è che se anche le basi fossero salve sarebbero pur sempre in un Paese in cui non c’è più un alleato di ferro come Assad. Insomma, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, per Putin sarebbe meglio cercare un altro sbocco sul Mediterraneo. E una soluzione sarebbe praticamente pronta: Tobruk, in Cirenaica, dove i rapporti con il leader locale Khalifa Haftar permettono ai russi di poter disporre del porto libico come punto di appoggio logistico per le loro operazioni soprattutto nel Sahel. Una base che poi sarebbe vicina anche al canale di Suez, consentendo alla Russia di tenere sotto pressione l’Italia e la NATO.
Caduto Assad si pone anche il problema del futuro delle basi russe in Siria, quella navale e quella aerea. Perché sono così importanti per Mosca?
Queste basi sono fondamentali perché rappresentano l’avamposto mediterraneo della Russia. In particolare la base di Tartus, creata nel 1971 con un accordo tra l’URSS e Hafez al Assad, padre di Bashar al Assad, serviva alle navi sovietiche per effettuare riparazioni e manutenzione senza dover tornare nel porto di Sebastopoli, in Crimea. Una funzione tecnico-logistica che è cambiata negli anni.
Cosa sono diventate in seguito le basi?
Nel 2017 la Russia ha acquisito la piena sovranità per 49 anni, rinnovabili, sulla base di Tartus, che diventa un’enclave militare molto importante, cui si aggiunge la base di Khmeimim, vicino a Latakia. Putin ha speso 500 milioni di dollari per ampliare la base navale, che permette di stanziare ulteriori navi militari con una proiezione nel Mediterraneo, creando un ponte di collegamento con il Mar Nero. La Russia, però, si sta assicurando un altro hub navale nel porto libico di Tobruk, nell’est del Paese. Una presenza che favorisce il commercio con i Paesi del Nord Africa, proiettandosi verso il Sahel e tutto il continente africano.
Sulla sorte delle basi russe in Siria ora si rincorrono le voci: l’intelligence ucraina dice che i russi le stanno smantellando, analisti americani sostengono che le navi sono uscite dal porto militare rimanendo al largo. Cosa sta succedendo?
Forse vale il detto “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. È possibile ipotizzare che i russi, dopo la debole risposta agli attacchi contro Bashar al Assad portati da Hayat Tahrir al Sham, abbiano preso accordi con la Turchia, vero deus ex machina dell’operazione HTS, per mantenere le loro basi. Pur di riuscirci avrebbero preferito mollare Assad e stringere accordi con i futuri “padroni” della Siria. In questo momento, vista l’incertezza della situazione, hanno allontanato alcune delle navi più costose e più importanti proprio in attesa di avere delle garanzie dal gruppo che ha scalzato il vecchio regime.
Possibile, quindi, che Mosca abbia già aperto un canale di comunicazione con i ribelli e, tramite i turchi, stia cercando di accordarsi per mantenere le basi? O la passata collaborazione con Assad lo impedisce?
Mettendo sul piatto della bilancia l’importanza di queste basi e il sostegno a un dittatore ormai caduto è chiaro che la Russia abbia preferito la prima opzione. Pensando al futuro, la Siria potrebbe restare, perché in fondo lo è sempre stato, una sorta di condominio militare con diversi attori, con una Turchia sempre più rafforzata in termini politici, economici e territoriali, con la Russia che cerca di mantenere le basi e altri attori che potrebbero emergere in un puzzle complesso. Dipenderà molto dal nuovo assetto interno, se i gruppi sotto la sigla HTS saranno in grado di sviluppare un progetto politico oppure si divideranno in mille rivoli, favorendo anche il revanscismo di alcuni gruppi jihadisti come lo Stato islamico.
In questo contesto che ruolo ha la presenza russa in Libia?
Anche se la Russia mantenesse le basi di Tartus e Latakia, lo farebbe comunque in un contesto molto più incerto e con una popolazione più ostile, per questo per Mosca è necessario assicurarsi un altro sbocco sul Mediterraneo. Uno lo possiede già, in parte, a Tobruk. Secondo alcune indiscrezioni Khalifa Haftar, leader della Cirenaica, starebbe arruolando alcuni miliziani in fuga dalla Siria perché leali ad Assad. Tobruk ai russi offre la vicinanza a Suez, snodo fondamentale del commercio mondiale, inoltre è un punto di appoggio per portare armi dalla Cirenaica verso il Sahel, dove Mosca ha sostenuto colpi di Stato. La Russia ha anche la possibilità di tenere sotto pressione l’Italia e l’Europa con un maggiore controllo delle rotte migratorie del Mediterraneo centrale.
Di cosa dispone Mosca grazie ad Haftar?
Ci sono vari accordi informali, uno risale al 2017 e riguarda la Marina russa e quella dell’est libico per la manutenzione, la formazione e il supporto tecnico e logistico. Anche se poi queste navi vengono usate per trasportare armi che vanno ad Haftar ma anche verso il Sahel e il sud del Paese. Nel 2016, su una portaerei, Putin e il leader della Cirenaica firmarono un accordo di cooperazione militare. In base a queste intese i russi possono sfruttare, dal 2019, anche la base di Al Jufra, recentemente ampliata, in cui parcheggiano aerei cargo, caccia, Mig 29 e forniture militari. Ma utilizzano pure l’aeroporto di Bengasi.
La Libia potrebbe diventare la base russa più importante nel Mediterraneo?
Se la Russia dovesse smobilitare in Siria o diminuire la sua presenza sposterebbe navi e sottomarini nel porto di Tobruk, utilizzando Al Jufra per gli aerei. Nel momento della guerra, nel 2019-2020, tra Haftar e Al Sarraj c’erano 3mila soldati russi, poi diminuiti dopo l’inizio del conflitto in Ucraina. Con un eventuale trasloco dalla Siria alla Libia il numero di militari potrebbe tornare ad alzarsi.
Quali conseguenze ci sarebbero per Italia e NATO?
Una più nutrita presenza dei russi nell’est libico potrebbe mettere in difficoltà l’Italia non solo per le sue ambizioni di essere l’interlocutore della NATO nel suo fianco sud, ma anche per il Piano Mattei, perché vuole essere un hub energetico che fa da ponte tra Africa ed Europa. E la Libia, insieme all’Algeria, è uno dei maggiori produttori di energia dell’area. I russi presenti in forze sarebbero un problema soprattutto vista la volontà di disimpegno in ambito NATO annunciata da Trump. La palla, anche qui, passerebbe all’Italia e alla UE.
Roma, però, ha sempre interloquito più con Dbeibah, leader del governo di Tripoli, che con Haftar.
Questo è uno dei problemi da affrontare, anche se poi alcuni accordi del Piano Mattei hanno riguardato la Cirenaica. Comunque il problema non sono solo i russi: la Turchia ha rafforzato la sua presenza in Siria, ma anche in Nordafrica, ed è presente proprio nell’ovest libico. Questo dovrebbe preoccuparci ancora di più della Russia, perché Roma ha sempre puntato principalmente su Dbeibah e l’ovest del Paese.
(Paolo Rossetti)
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