Sì è parlato spesso del livello raggiunto dai prezzi degli immobili a Milano. Un dibattito che ne ricorda uno presente negli Usa
Ben prima delle inchieste emerse in questi giorni, Milano e il suo mercato immobiliare sono stati al centro del dibattito politico. Negli ultimi anni la città ha visto un’esplosione delle quotazioni immobiliari che non si vedeva da una generazione e che toglie a un numero crescente di persone la possibilità di acquistare. Non è andata molto meglio agli affitti, arrivati ad assorbire più della metà di un salario medio.
Quello che è accaduto a Milano non è un fatto isolato e ha ricalcato dinamiche già viste in Europa e negli Stati Uniti con risvolti anche politici. Si è aperta infatti una polemica all’interno di un mondo, che in America si chiamerebbe “liberal” e in Italia progressista, tra nuove e vecchie generazioni con le prime che chiedono accesso al mercato immobiliare cittadino a prezzi ragionevoli. È un dibattito “liberal” perché in Italia, come in America, nelle grandi città si vota “a sinistra” e questo è certamente vero anche a Milano.
Negli ultimi anni ci si è chiesto quali fossero gli effetti dei limiti stringenti allo sviluppo immobiliare e dei poteri concessi ai “comitati di cittadini”. Il dibattito arriva da sinistra e osserva che questi strumenti, di per sé pensati per una causa “buona”, hanno finito per bloccare la costruzione di nuove case e hanno quindi congelato non solo il panorama cittadino ma anche la mobilità sociale. Si osserva che i cittadini dei quartieri più ricchi hanno usato al meglio gli strumenti a disposizione per limitare lo sviluppo immobiliare; ciò ha contribuito a un movimento, fisico, fuori dai centri cittadini verso le zone con meno valore e tendenzialmente più povere.
Il contraltare di questo “congelamento” è una crescente segregazione tra quartieri dei ricchi, immodificabili e protetti da nuovi sviluppi, e quartieri dei poveri. Questo fenomeno si accompagna a un esodo, fuori dalla città dove si edifica su spazi verdi, di persone che devono trovare un’alternativa tra quartieri cittadini desiderabili ma inaccessibili economicamente e altri che scivolano verso un peggioramento di qualità e sicurezza.
I limiti “green” in entrata e uscita dal grande centro urbano, anche a Milano, non hanno effetti solo sulla qualità dell’aria di chi già vive nella città, ma anche sociali e economici. Rendere più difficile il movimento “dentro e fuori” dalla città implica una riduzione dell’offerta di case sufficientemente vicine al centro e soprattutto crea nuova domanda. Chi, arrivando da fuori, è sufficientemente abbiente per poter accedere al mercato immobiliare cittadino ha improvvisamente molti più incentivi a muoversi dentro la città spiazzando la competizione.
Queste scelte, per la buona causa dell’aria pulita, rafforzano un processo di segregazione di cui anche Milano sembra vittima. Si assiste quindi, dentro la città, a una progressiva separazione tra quartieri benestanti e quartieri poveri, mentre la classe media viene espulsa fuori dai confini urbani.
Il supporto politico del “socialista” Mamdani, candidato sindaco a New York che ha battuto alle primarie il democratico di lungo corso Cuomo, non arriva solo dalle minoranze, ma anche da fasce della popolazione, spesso “bianche” e “liberal”, che scoprono di non potersi più permettere la grande città; queste abbandonano la leadership storica del partito democratico per votare il nuovo. Anche Milano si avvia forse a percorrere la stessa parabola.
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