A settembre, secondo l’Istat, l’inflazione ha sfiorato il 9%, pesando sul budget delle famiglie italiane più di 3mila euro. È il dato più alto dal 1985. A spingere il caro prezzi, oltre all’energia, è soprattutto l’aumento del costo degli alimenti: il carrello della spesa è più salato dell’11,1% rispetto a un anno fa e non costava così tanto da quasi 40 anni.
Infatti, come rileva l’Istat, è necessario “risalire a luglio 1983 (quando registrarono una variazione tendenziale del +12,2%) per trovare una crescita dei prezzi del carrello della spesa, su base annua, superiore a quella di settembre 2022”. In questo scenario pesante la moderna distribuzione fa sempre più fatica a reggere e a non scaricare sui consumatori finali questa pressione inflattiva, con una progressiva erosione dei margini, che sta portando alcuni punti vendita a chiudere, come ci spiega in questa intervista Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé.
Questa corsa dell’inflazione quanto mette in affanno la grande distribuzione?
Queste spinte inflattive si fanno sentire mettendo il sistema in crisi. Come Gruppo VéGé, per esempio, abbiamo ricevuto in media 15 punti di inflazione dai fornitori, il che significa che i listini sono cresciuti di 15 punti perché gli stessi fornitori hanno dovuto fare i conti soprattutto con i rincari dell’energia, più che con quelli delle materie prime. Non solo: per i nostri punti vendita il costo dell’energia per mantenere la catena del freddo, che non si può certo chiudere a piacimento, prima della corsa ai rincari del gas incideva per l’1,8%, adesso è salito al 4,8% e per i punti più piccoli al 5,8%.
Sta dicendo che l’onda inflazionistica che vi ha investito è alta 20 punti percentuali?
Esatto. Se a questi punti si tolgono gli 11 dell’inflazione calcolata dall’Istat, abbiamo quasi 9 punti che sono rimasti a nostro carico.
Con quali effetti sui margini?
L’Ebit delle aziende commerciali oscilla tra l’1,8% e il 2-2,5%, per i più bravi arriva massimo al 3%. Provi a immaginare cosa significa per noi un disvalore fra l’Ebit dei punti vendita e quei 9 punti che ci prendiamo dritti sui denti…
Riuscite a sopravvivere?
Alcuni punti vendita stanno consegnando al franchisor le chiavi perché dicono che a loro conviene stare chiusi. Questa situazione ci induce a dire che purtroppo la corsa dell’inflazione per i clienti non è ancora finita.
Fin dove può salire sui prodotti alimentari?
Se non cambia lo scenario, questi 11 punti potrebbero certamente aumentare.
Per quanto tempo ancora sarà possibile per il mondo della distribuzione resistere a queste pressioni inflazionistiche?
Posso dire che i costi per le aziende che hanno i punti vendita più piccoli sono oggi molto alti. C’è malessere, c’è molta tensione.
Come state cercando di non far pesare troppo questi rincari sui consumatori?
Abbiamo allargato gli assortimenti, con “primi prezzi” e molte nuove marche del distributore e stiamo agendo non tanto sulla profondità – cioè sull’aumento delle percentuali di sconto – ma sull’ampiezza, ossia sulla numerosità, dei prodotti che possono andare in promozione.
Anche per le imprese della distribuzione ulteriori rincari dell’energia sarebbero insostenibili?
Assolutamente sì. Le bollette vanno pagate, anche se a rate, che già sarebbe un bel passo avanti, ma il costo c’è e si sente. Se dovessero aumentare ulteriormente, vedremmo molti punti vendita chiudere.
I consumatori come hanno reagito?
I consumatori hanno reagito a questa corsa dell’inflazione iniziando a virare sulle promozioni dei prodotti di marca, sulla marca del distributore e, come ricordavo prima, sui prodotti “primi prezzi”, cioè l’entry level dei punti vendita. E alcuni clienti stanno indirizzando alcuni loro acquisti verso i discount.
Una migrazione consistente?
In realtà, non tanto, perché nei discount, a livello percentuale, l’inflazione, visto che in valore assoluto partono da un montante più basso, è stata più elevata rispetto alla moderna distribuzione, come dimostrano i dati Nielsen.
Hanno ridotto anche lo scontrino, comprando di meno?
Stanno comprando di meno proprio in questo modo: uno scontrino inferiore, cercando però in alcuni casi di aumentare la frequenza degli acquisti, anche perché le promozioni durano di più, e in tal modo vogliono evitare il più possibile gli sprechi.
Al governo ancora in carica che interventi chiedete per tamponare una situazione sempre più drammatica, visto che non c’è neanche un minuto da perdere?
FederDistribuzione avanza nove proposte di intervento da inserire subito nel decreto Aiuti ter, che è ancora in fase di conversione in legge: credito di imposta al 50%, se gli incrementi dei costi sostenuti dalle imprese raggiungono il 100%; opzione ammortamento dei costi energetici 2022 in 10 annualità; proroga dell’utilizzo del credito d’imposta fino a tutto il 2023; rateizzazione dei costi energetici in 72 rate; semplificazioni per gli allacciamenti alla rete elettrica delle fonti rinnovabili; disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica dal gas; nessuna imposizione da parte dei gestori per pagamenti o fideiussioni anticipati; proroga delle misure di riduzione del capitale sociale e sospensione ammortamenti; allargamento al retail dell’accesso all’energia ai prezzi calmierati del Gse.
E con l’arrivo del nuovo governo? Dovrà mettere mano a misure più strutturali?
Qualora gli interventi appena ricordati non dovessero essere attuati nella loro massima applicazione, toccherà al nuovo governo farsi carico di raggiungere quegli obiettivi inserendoli nella prossima Legge di bilancio. Per esempio, se il decreto Aiuti ter dovesse decidere che il credito d’imposta, oggi al 30%, non può salire fino al 50%, il prossimo governo dovrà impegnarsi a raggiungere questa soglia, come da noi indicato. E questa modalità sarà valida anche per le altre proposte.
(Marco Biscella)
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