Di una strage silenziosa nelle case di riposo ha parlato anche “Non è l’Arena” di Massimo Giletti nella puntata di ieri. È stato infatti mandato in onda un audio choc di una terribile telefonata tra una mamma e sua figlia. La prima, ricoverata in una casa di riposo di Soleto (Lecce), è stata abbandonata senza cibo né medicine dagli operatori durante l’emergenza coronavirus. Peraltro, non le monitorano neppure la temperatura. «Da mangiare ieri sera non mi hanno dato niente, adesso vediamo se mangio qualcosa. Devono passare gli infermieri e chiedo all’infermiere… Adesso la chiamo, non passa nessuno…», dice alla figlia. Quest’ultima le chiede se quindi non ha mangiato e la madre le conferma che è dalla sera prima che non mangia.
«Mi hanno dato le pastiglie ieri mattina e poi basta, non me le hanno date più», dice poi alla figlia quando le chiede se le stiano somministrando la terapia e se le stiano facendo le punture. Quando la figlia le chiede se le abbiano misurato la febbre, l’anziana spiega: «No, no. Non lo so se ho febbre… Non me l’hanno mai misurata». Ancor più scioccante è il servizio realizzato dal programma: su 87 ospiti, 70 sono risultati positivi al coronavirus. Il bilancio delle vittime è di 9 morti. «Non c’era nessuna gestione. Erano abbandonati e allettati», dice Mattia Marchello, medico Asl Lecce. In struttura non c’era praticamente più nessuno. «Sono arrivato al terzo giorno di abbandono. Erano affamati, assiderati. Era una casa abbandonata. Qualcuno è morto di fame e sete? Sì». (agg. di Silvana Palazzo)
CASE DI RIPOSO “FOCOLAI” CORONAVIRUS: PICCO LOMBARDIA
È critica la situazione nelle case di riposo a causa dell’emergenza coronavirus al punto tale che sono considerabili dei focolai. In Lombardia muoiono a decine, ci sono strutture in cui non c’è neppure posto per le bare, quindi i cadaveri restano per ore nei loro letti, vicino ai vivi. Niente ricovero, niente farmaci sperimentali per loro. Sono fragili per il trasferimento in ospedale e le cure. Sono vittime di una strage silenziosa, secondo quanto riportato da Repubblica, che evidenzia un altro aspetto di questo dramma. La Protezione civile non fornisce i numeri dei decessi avvenuti nelle residenze per anziani col suo bollettino, peraltro molte di queste morti non sono neppure attribuite al Covid-19 visto che non viene fatto loro il tampone. Il virus è entrato in molte Rsa e sta facendo disastri. A Mediglia (Milano) ci sono stati 62 morti, a Lodi 50. Ma ci sono altre regioni che stanno contando queste perdite: a Sassari, ad esempio, ce ne sono 25. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha avviato una ricerca per capire la mortalità legata al Covid-19, ma il campione non è grande. Al 30 marzo erano state censite 250 strutture in tutta Italia. Di queste, quelle lombarde avevano quasi il 10% di morti per il virus o per sintomi simil influenzali. La proiezione di questi dati porterebbe però a migliaia di morti.
CASE DI RIPOSO E CORONAVIRUS: IL NODO DEI TAMPONI
Quel che emerge da questa ricerca è che i tamponi nelle Rsa spesso non vengono fatti. Non erano neppure richiesti fino a lunedì scorso in Lombardia. Vittorio Demicheli, epidemiologo della task force lombarda, a Repubblica ha dichiarato: «Alle Rsa è stato scritto di trattare tutti i sintomatici come se avessero il coronavirus e di procedere all’isolamento dei malati, non c’era bisogno di fare esami». Le cose stanno pian piano cambiando: in Toscana, ad esempio, in poco tempo sono stati individuati 800 ospiti di Rsa positivi al coronavirus. Inoltre, il ministero della Salute con una circolare ha stabilito che i dipendenti devono fare il tampone e gli ospiti delle residenze con sintomi respiratori devono essere sottoposti al test. «I decessi vanno contati dopo, perché potremo capire quanto il virus ha accelerato la morte di certe persone confrontando i dati di quest’anno con quelli di 3 o 5 precedenti», ha spiegato Demicheli. Quello che sta accadendo negli ospedali è niente rispetto alle case di riposo, perché qui sono concentrate persone fragili, le più vulnerabili al Covid-19.
CASE DI RIPOSO “FOCOLAI” CORONAVIRUS: “RIVEDERE GESTIONE”
Per Roberto Bernabei, geriatra del Gemelli e membro del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile, la situazione è la stessa in tutto il mondo. «Si tratta di luoghi dove ci sono tanti anziani, con un via vai di visitatori e personale. Le Rsa sono un sostituto della casa, non un ospedale». Quindi per lui non poteva che andare così. «Non ci sono colpe, è un fatto che fotografa la realtà». Non è della stessa idea Sergio Venturi, commissario per l’emergenza dell’Emilia-Romagna. «In quelle strutture spesso l’isolamento non è facile. Poi allo scoppio dell’epidemia parte del personale ha deciso di prendersi una pausa, magari anche perché non c’erano i dispositivi di protezione per tutti». Secondo Venturi, gli operatori non conoscono le procedure per la gestione delle malattie infettive come chi lavora in ospedale. Di conseguenza, non hanno gli strumenti per contrastare i contagi. Quindi, quando il peggio sarà passato, bisognerà ripensare all’assistenza degli anziani. «È chiaro che chi è a casa con la badante si è ammalato molto meno di quelli che stavano nelle Rsa. Dobbiamo rivedere il tema della gestione, chiedere certe garanzie di sicurezza ai privati, sennò tanto vale che le Regioni entrino nella gestione di queste strutture», ha dichiarato a Repubblica.